Soltanto nell’anno accademico 2002/2003, relativamente ai master di 1° e 2° livello nelle nostre università, si contava un numero di iscritti pari a circa 16.000, ai quali bisogna poi aggiungere quei master che vengono organizzati da enti e centri di formazione.
I master: la discriminante degli alti costi. Almeno uno studente su cinque, una volta terminati gli studi, si iscrive ad un master. L’obiettivo che si prefiggono i master è quello di fornire un elevato livello di competenze e conoscenze specifiche sia per chi intende acquisire una specificità professionale e sia per coloro ai quali interessa consolidare una posizione già raggiunta. Oramai attivati da più di 70 atenei italiani, i master nascono come approfondimento di uno specifico settore disciplinare; durano in media 12 mesi e richiedono la frequenza obbligatoria. Al master di 1° livello possono accedere coloro i quali sono in possesso della laurea triennale, mentre a quelli di 2° livello l’accesso è precluso esclusivamente ai possessori della laurea specialistica. Quando non si fa riferimento ai master finanziati dal Fondo sociale europeo, che sono pressoché gratuiti, i costi di un master possono anche arrivare ad una cifra di 20.000 euro. A causa probabilmente dei costi molto spesso elevati, ai master accedono maggiormente gli studenti che provengono dalla classe borghese: 18,4% contro il 13,1% di coloro che appartengono alla classe operaia.
La formazione sul campo: gli stage. Circa uno studente su quattro ha affrontato uno stage durante il proprio percorso di studi, si tratta quindi di una pratica molto diffusa. Lo stage, o tirocinio, rappresenta una sorta di formazione “sul campo” che si prefigge di tradurre le conoscenze in competenze. Lo stage completa molto spesso lo stesso percorso di studi, al punto che presso alcuni atenei sostituisce un esame e converge sulla valutazione finale. Gli accordi che nascono tra il mondo universitario e quello aziendale sono numerosi, e altrettanto cospicui i diversi progetti formativi che ne scaturiscono. Il tirocinio può essere di tipo formativo, quando rientra nel percorso di studi, di orientamento quando si rivolge a chi termina l’iter scolastico. Ci sono infine i tirocini obbligatori che corrispondono a quelli previsti dal proprio percorso di studi per avere accesso all’Albo o all’Ordine professionale.
La Fad. Da qualche tempo comincia a prendere piede anche la formazione a distanza (fad) che consiste in un’esperienza di insegnamento “a distanza” tramite l’utilizzo delle nuove tecnologie di comunicazione, prima fra tutte Internet. Il grande vantaggio della fad – oltre all’annullamento del vincolo temporale favorito dalla comunicazione in differita – è quello di poter riuscire a fruire le lezioni dal proprio posto di lavoro o da casa, senza dover necessariamente recarsi “fisicamente” al centro di formazione.
Eterni studenti: diminuisce l’occupazione e aumenta la formazione. Occorre capire d’altra parte, se esista o meno una reale corrispondenza tra formazione post lauream e le effettive esigenze di un mercato già in affanno. Tra formazione e occupazione infatti non esiste un rapporto direttamente proporzionale. Per cui ad una maggiore formazione non è detto che corrisponda un immediato impiego. Da una recente indagine emerge che il 2002 ha segnato una contrazione del numero dei neolaureati che trovano impiego ad un anno dalla laurea: la percentuale infatti è pari al 54,9% contro il 56,9% del 2001. Tra l’altro questa perdita di due punti percentuali segue un periodo di generale stabilità del tasso di occupazione ad un anno dalla laurea: 56,8% per i laureati del 1999 e 57,5% per quelli del 2000. Contemporeanamente al calo del tasso di occupazione è aumentata, comprensibilmente, la quota di laureati alla ricerca del lavoro: si è passati dal 20,1% al 24% degli studenti laureti nell’anno 2002. È salita inoltre al 68% la percentuale dei neolaureati che proseguono la formazione post lauream, contro il 65,5% dei laureati dell’anno precedente. Anche il numero dei laureati iscritti ai master post universitari ha segnato un vistoso aumento: 16,3% dei laureati nel 2002 a fronte del 12,2% di quelli del 2001. In particolare, i master rappresentano uno tra i tipi di formazione più seguito (16,3% dei laureati del 2002), cui si iscrivono gli studenti provenineti principalmente da facoltà di tipo politico-sociale (22,8%) e psicologico (20,5%); seguono i laureati in agraria (18,4%), lettere (18,2%), economia e statistica (18%). Partecipano in misura inferiore i laureati del settore chimico-farmaceutico (10,1%) e ingegneristico (10,5%). Analizzando l’andamento occupazionale fino a cinque anni dalla laurea, la percentuale di coloro che trovano impiego ad un anno dal conseguimento della laurea e dopo aver proseguito gli studi post universitari risulta essere pari al 58,7% contro il 55,8% di quelli che non hanno proseguito con la formazione. Risultati sensibilmente migliori si registrano a tre anni dalla laurea: lavora il 79,6% degli specializzati a fronte del 74,7% di chi ha scelto di fermarsi agli studi universitari. Lo scarto percentuale diventa minimo invece a cinque anni dal conseguimento del titolo di laurea: rispettivamente 87,8% e 86,3%. Se ne ricava quindi che la partecipazione ai master ha inciso sul livello occupazionale sul breve e soprattutto sul medio periodo con una incidenza di circa 5 punti percentuali, mentre alla lunga distanza il master non sembra garantire maggiori prospettive occupazionali rispetto alla laurea.

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