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Storia del 1° Maggio

LA FESTA DEL LAVORO

La Festa del Lavoro affonda le sue radici nelle battaglie intraprese dal movimento operaio verso la fine del secolo scorso. Il primo maggio del 1886, infatti, negli Stati Uniti, la Federation Trade and Labor Unions proclamò i primi scioperi ad oltranza per chiedere di sancire contrattualmente l’orario lavorativo di otto ore. Le agitazioni coinvolsero circa 400 mila lavoratori dei diversi stati dell’Unione e provocarono scontri con la polizia, come avvenne il 4 maggio a Chicago, dove al termine di una grande manifestazione con oltre 80 mila persone, una vera e propria battaglia causò 11 morti ed un centinaio di feriti. La decisione di organizzare una manifestazione a data fissa per ridurre legalmente la giornata di lavoro fu presa, però, solo tre anni più tardi, il 14 luglio 1889, approvando all’unanimità una mozione presentata dai delegati francese e statunitense al Congresso della Seconda Internazionale.

In Europa la prima celebrazione della Festa del Lavoro si ebbe quindi nel 1890, con esclusione dell’Italia dove l’allora presidente del Consiglio, Francesco Crispi, impartì ordini severi ai prefetti di reprimere sul nascere qualsiasi manifestazione di piazza. Nel nostro paese la prima commemorazione della Festa del Lavoro si tenne l’anno successivo, il primo maggio del 1891, in un clima tutt’altro che tranquillo, tanto che a Roma, in scontri tra polizia e dimostranti, ci furono due morti e decine di feriti. Dal 1891 fino all’avvento del fascismo il primo maggio coincise con le celebrazioni della Festa dei Lavoratori, ma dall’ambito sindacale dell’orario di lavoro, le rivendicazioni si estesero al terreno dei diritti civili e a quello della politica internazionale del Paese.

Dopo l’ottobre del 1922 Mussolini decise di abolire le celebrazioni del primo maggio e stabilì la data del 21 aprile (Natale di Roma) per festeggiare "il lavoro italiano e non quello inteso in senso astratto e universale". Durante il ventennio di regime fascista, tuttavia, in molte grandi città le commemorazioni proseguirono, sia pure in modo clandestino. Nel 1945, con la Liberazione, il primo maggio tornò a coincidere con la festa del lavoro.

Delle celebrazioni in epoca repubblicana resta memorabile per la sua tragicità quella del 1947 a Portella della Ginestra, nelle campagne del palermitano, dove durante una manifestazione di braccianti i banditi di Salvatore Giuliano spararono sulla folla uccidendo 11 persone. Negli anni successivi le celebrazioni del primo maggio si intrecciano con le vicende interne alle confederazioni sindacali e agli sviluppi della situazione politica, sociale ed economica dell’Italia.

Il primo maggio 1990, anno del centenario, CGIL, CISL e UIL organizzarono una celebrazione a Milano, nell’area degli ex stabilimenti Ansaldo, alla quale partecipò, per la prima volta nella storia della Festa del Lavoro, il Presidente della Repubblica.

La strage di Portella della Ginestra

Nella storia del primo maggio la pagina più sanguinosa venne scritta nel 1947 a Portella della Ginestra. Dopo anni di sottomissione a un potere feudale, la Sicilia stava vivendo una fase di rapida crescita sociale e politica. Un grande movimento organizzato aveva conquistato il diritto di occupare e avere in concessione le terre incolte. L’offensiva del movimento contadino, insieme alla vittoria elettorale del blocco del popolo alle elezioni per l’assemblea regionale, suscitarono però l’allarme delle forze reazionarie. Intimidazioni contro sindacalisti e esponenti dei partiti della sinistra erano frequenti e affidate al banditismo separatista. Il primo maggio del 1947, secondo una usanza che risaliva all’epoca dei fasci siciliani, circa 2.000 contadini, uomini, donne, bambini ed anziani, si erano dati appuntamento nella piana di Portella della Ginestra. Appostati sulle colline vicine, c’erano ad attenderli, armati di mitragliatrici, gli uomini della banda di Salvatore Giuliano, rinfoltita con alcuni elementi prezzolati. Aveva appena iniziato a parlare il primo oratore, quando si sentirono i primi colpi. Per la folla non ci poteva essere scampo: alla fine si contarono 11 morti e più di 50 feriti. La notizia della strage si diffuse in tutta Italia e la CGIL proclamò per il 3 maggio uno sciopero generale. Purtroppo le indagini furono compromesse dalla volontà di una parte delle forze di governo, ed in particolare del ministro dell’Interno dell’epoca, Mario Scelba, di escludere in partenza la pista della strage politica. Tutte le colpe furono addossate al bandito Giuliano, malgrado il rapporto dei carabinieri indicasse come possibili mandanti, "elementi reazionari in combutta con i mafiosi locali". Lo stesso Giuliano fu eliminato, 3 anni dopo, dal suo luogotenente Gaspare Pisciotta che a sua volta fu avvelenato in carcere nel 1954 dopo aver preannunciato clamorose rivelazioni sui mandanti della strage di Portella. Una strage che sembra quindi inaugurare la lunga catena di misteri e di eccidi che insanguineranno l’Italia negli anni a venire.

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