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Biomassa, le ragioni di un no

La prevista riattivazione della Centrale elettrica della Valle del Mercure, riconvertita a biomasse, rappresenta un grave problema per il Parco nazionale del Pollino ed è sintomatica di un modo errato di concepire gli interventi ?ambientalmente sostenibili? nel nostro paese.

Ci preoccupa soprattutto il fatto che il tipo di centrale previsto è di una potenza tale, 35 MW, che per la sua alimentazione richiederà, come dichiarato anche dai responsabili dell?impianto, l?importazione di gran parte del combustibile, annullando i vantaggi energetici che una fonte rinnovabile come questa potrebbe garantire. In questa maniera per garantirsi una produzione di energia da fonte ?rinnovabile? e rispettare le indicazioni del protocollo di Kioto si ottengono due effetti negativi macroscopici:

· il disboscamento in aree del terzo mondo dove le piante tagliate non saranno sostituite con nuovi impianti;
· un aumento delle emissioni di CO2 non compensate dal rinnovo di nuovo materiale vegetale.

L?utilizzo di biomasse vegetali di per sé quindi non garantisce la bontà dell?intervento. Per quanto riguarda gli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da biomasse infatti vanno poste perlomeno due condizioni preliminari e decisive alla loro realizzazione:

· non devono diventare il terminale per lo smaltimento di rifiuti di varia provenienza, ma devono utilizzare, come combustibile, esclusivamente la biomassa prodotta in loco;
· la rilevante quantità di calore di scarto, pari a circa i tre quarti dell?energia termica prodotta dalla combustione, deve essere convenientemente utilizzata al servizio di attività produttive (climatizzazione, serre, catena del freddo, ecc.).
Pertanto queste centrali vanno localizzate e realizzate solo in presenza di richieste in loco, esistenti o programmate, di energia termica (attività utilizzatrici di energia termica), e ove sia dimostrata la possibilità di completare l?intero ciclo delle biomasse: coltivazione, raccolta, stoccaggio, trasposto, combustione, smaltimento sicuro dei residui. La chiusura del ciclo consente, da un lato, di bilanciare le emissioni di anidride carbonica prodotta dalla combustione, dall?altro di garantire benefici ambientali ed economici destinando ad uso produttivo non alimentare parte dei suoli in stato di progressivo abbandono.

Se si volesse ricorrere alla biomassa prodotta in loco per alimentare una centrale della potenza di 35 MWe, come quella proposta nel Comune di Laino, che deve bruciare più di 300.000 tonnellate di biomassa l?anno, sarebbe necessario l?impegno per colture energetiche di un territorio esteso tra i 16.000 e i 32.000 ettari (una stima esatta è funzione, oltre che della produttività dei suoli, delle specie arboree ed erbacee prescelte, delle tecniche di lavorazione utilizzate, ecc.).

Il bacino da indagare, in via preliminare, al fine di individuare le aree più idonee da destinare alle colture energetiche, dovendo rimanere ricompresso in un raggio di 10-20 chilometri, di certo non potrà rispondere a questa massiccia richiesta di biomasse per combustione.
Legambiente è favorevole all?uso delle biomasse per la produzione di energia elettrica ma solo se provengono dal territorio in cui è ubicato l?impianto e residuano dalle attività di lavorazione e manutenzione forestale oltre che da colture energetiche dedicate, opportunamente scelte nel tipo e nell?estensione.

La produzione di energia termica da biomasse agricole e forestali anche in Italia sta gradualmente passando dalla concezione ?antiquata? della stufa a legna ad un moderno ed efficiente sistema per utilizzare energia rinnovabile nel contesto di filiere organizzate in grado di valorizzare le risorse locali e di sviluppare un più dinamico e coerente criterio di protezione del territorio. L?esperienza che si vuole realizzare nel territorio del Parco del Pollino non è però assolutamente uniforme a questo disegno e non potrà avere per il territorio nessuna positiva ricaduta economica ed ambientale. L?Ente Parco Pollino deve subito porsi questi problemi, come le associazioni ambientaliste, i cittadini e gli enti locali, gli stanno chiedendo. Il Parco deve rivedere l?acritico assenso dato alla realizzazione dell?impianto ed operare per autorizzare ed incentivare percorsi ed iniziative realmente ?virtuose? che diano reale sviluppo ai territori del Parco e che facciano della sostenibilità e della compatibilità degli interventi, unitamente ad una loro concertazione con i territori, e con gli operatori che in quei territori vivono e lavorano, il perno delle azioni e delle politiche da mettere in campo.

Legambiente ritiene che il Parco del Pollino sia un?area troppo importante oltre che per le sue valenze intrinseche anche come punto di riferimento per le politiche di tutela e conservazione di una regione come la Basilicata che stenta ad individuare nel sistema dei parchi e delle aree protette regionali la vera occasione di sviluppo per le aree interne. Per questo motivo non possiamo accettare che il Parco Nazionale del Pollino possa continuare con questa assurda politica che considera tutti gli interventi sul territorio sempre compatibili con il Parco.

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