Nell?ufficio della Pastoral Migratoria di Tulcán-City ? ove passo gran parte del mio tempo feriale – non circolano, come accennavo, altro che colombiani, e pochi di essi hanno visi sereni.

Nella maggior parte dei casi si tratta di persone che arrivano qui disperate e stremate, quasi sempre senza soldi né documenti né prospettive, e che sovente si sciolgono in lacrime quando, per riempire la sollecitudine di rifugio, devi necessariamente ottenere che ti raccontino dettagliatamente violenze subite, minacce ricevute, lutti sofferti.
A causa di ció, ho rapidamente inteso (a mie proprie spese) che purtroppo certe realtá, nude e crude, si lasciano capire davvero solo imponendosi alla tua vista, e fermandosi appena ad un palmo dal tuo nasino europeo, perché cosí facendo soltanto possono riuscire a sconvolgere ogni singolo cantuccio della tua viziata quasi vergine umanitá.
E? per tentare di smentire questa mia odiosa intuizione che ho deciso di raccontarvi il primo caso di cui mi sono occupata quaggiú. Appena atterrata nella terra del sole, con un grande punto interrogativo sulla testa e l?illusione che tutto sarebbe stato bello, facile, esotico.
Dunque, il caso in questione riguardava la signora (chiamiamola) Gloria, giá riconosciuta come rifugiata dal Governo ecuatoriano nel 2003.

Gloria era scappata dalla sua terra ? una delle regioni della Colombia maggiormente insanguinate da narcotraffico e guerriglia ? dopo che un gruppo armato, irrompendo nella fattoria dove viveva, le aveva ucciso sotto gli occhi il marito, e sequestrato 4 dei 5 figli, di 17, 13, 11 e 10 anni.
Cosi?, rimasta sola col bebé di neanche 3 anni, e deciso per ragioni di paura e di sicurezza di affidarlo ad una sorella, Gloria scappó in gran fretta, ed approdó 3 anni or sono nel vicino Ecuador, con la morte nel cuore ed il terrore negli occhi.
Una volta arrivata, Gloria sollecitó ed ottenne rifugio, non trovó un lavoro stabile, si stabilí in un?umile casetta nei dintorni di Tulcán, e continuó a consumarsi nel pensiero dei figli trattati chissá come, da chissá chi, chissá dove.
La vita da esiliata della signora continuó quindi sorda e lenta, fino a che un mese fa, inaspettatamente, 2 dei 4 figli sequestrati, fortuitamente scappati alla lunga prigionia, apparvero sulla frontiera assieme al piú piccolo, accompagnati dalla zia commossa, per riunirsi finalmente, dopo anni di buio, alla mamma lontana.
Letta fin qui, quella di Gloria sembrerebbe una storia di ricongiungimento a lieto fine, ma ? naturalmente ? per l?inconfutabile principio secondo il quale le tragedie non vengono mai sole, c?e? ben altro da dire.
Anzitutto, trascorse un paio di settimane dall?arrivo dei ragazzini, mi sono recata con la mia collega Patti nel domicilio della appena ricostituita familiora, per relazionare sulle condizioni dei ragazzi, e sulle esigenze emergenti che il caso presentava.
Che dire?

L?alloggio constava di due stanzette di pietra, in una zona molto umida, non c?erano letti né materassi né coperte né un cucinino ne? altro. La casetta, completamente vuota, rivelava d?un tratto, in un angolino buio, un giaciglio su cui stava divelto il ragazzino di 12 anni, denutrito, debolissimo, con febbre alta da giorni e ferite sanguinolente su tutto il corpo.
Gloria ci informó del fatto che sin dall?arrivo il bambino versava in pessime condizioni, e che, non disponendo di alcuna risorsa economica ? inclusa quella per recarsi a Tulcán e chiedere aiuto all?ufficio ? aveva optato per impacchi con spine di mora, che con ogni probabilitá non avevano che peggiorato la giá grave infezione.
Ordinammo nuove cure, e quando pochi giorni dopo ci recammo nuovamente nel paesino per consegnare alla famiglia generi di prima necessitá e kit abitativi e di cucina, il bambino delirava, le cure fino ad allora disposte non avevano sortito alcun effetto.. cosí l?unica soluzione fu disporre il trasferimento urgente a Quito, dove tutt?ora ? assistito dalla mamma ? versa in piú che gravi condizioni, aspettando di essere operato per rimuovere i coaguli cerebrali che una VARICELLA malcurata gli ha procurato.
Nel frattempo, l?altra ragazzina scampata ai guerriglieri, si occupa da due settimane a tempo pieno del bambinetto di 5 anni (l?unico con lo sguardo felice e spensierato) e ogni volta che le si chiede se vuol parlare con qualcuno dell?esperienza di prigionia ( possibilitá di attenzione psicologica compresa) inizia a piangere ed a tremare, ripetendo che tutto ció che desidera é non dover ricordare mai piú quei giorni interminabili.
Allo stesso modo, Gloria continua a fissarti con sguardo assente e dolente, non smettendo un attimo di piangere al rinnovato doloroso pensiero delle due figlie maggiori, ancora disperse.. magari in procinto di raggiungerla anch?esse.. o magari morte da tempo.

Insomma… la realtá di questi posti a volte é davvero dura. Tanta miseria e tanta disperazione, viste cosí da vicino, fanno davvero male. Ma sono qui per dare una mano, quindi forza Marica.
Stringi i denti, e non lasciare che l?emotivitá debiliti il tuo renderti utile.
Questo é. Per ora. Ma sono sicura che, con il passare delle settimane, tutto sará piú facile.
Una cosa é certa. Sará impossibile tornare uguale a come sono partita.
E questa é la fortuna piú grande.
Ora vi lascio, con una piccola promessa: la prossima puntata, vi racconteró il mio week end di Pasqua sull?oceano. Basta tristezzze, almeno per un pó.

Un grazie grande grande a quanti mi hanno scritto, in queste prime settimane, con la speranza che via via diveniate sempre di piú.

A presto, come sempre!

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