Mentre partecipavo sonnecchiando ad una riunione ministeriale, verso la metà dello scorso novembre, arrivò imprevista e meravigliosa, a scuotermi dal torpore, la telefonata che mi comunicava, in via definitiva, la mia assegnazione al progetto di cooperazione allo sviluppo che sarebbe partito, di lì a poco, per l’Ecuador.
Per me, giovane lucana di belle speranze trapiantata nella Roma accademica e da tempo alla ricerca di un futuro nella galassia della cooperazione, fu la ricompensa per la fiducia incondizionatamente riposta, a mo? di ultimo appiglio, nell?assioma secondo cui ?chi la dura, prima o poi la vince?… Da allora sono trascorse settimane di preparativi più o meno fervidi, tra le incombenze burocratiche e le profilassi mediche richieste. Al momento si è appena concluso il corso di preparazione, che ci ha visto faticosamente impegnati in due settimane di intenso apprendimento e che ci porterà (con adeguati mezzi e crescente consapevolezza) a volare tra una quindicina di giorni verso Quito, e poi da lì ad essere smistati tra i cinque distretti in cui è previsto l?inserimento dei venti volontari. Per inciso, la Repubblica dell?Ecuador, situata nella parte nord-occidentale della penisola sudamericana, comprendente oltre 700 km di costa pacifica e per metà circa costituita dalla dorsale Andina, è un paese ricchissimo pieno di poveri. Il 70% della popolazione vive infatti sotto la soglia di povertà (con meno, cioè, di due dollari al giorno) e la rete dei servizi è molto precaria, nonostante le immense risorse naturali di cui pure il Paese è dotato. Per far fronte alle molteplici carenze primarie da soddisfare operando sul posto, il progetto in questione consta di interventi molto diversi tra loro. Sono previsti progetti di promozione della donna e di sicurezza alimentare, attività di microcredito, programmi di sostegno psicologico specifico per l?infanzia e servizi di assistenza sanitaria. Inoltre, la presenza dei volontari internazionali è prevista nelle attività riguardanti la gestione dei tanti rifugiati provenienti dagli Stati confinanti (principalmente dalla Colombia) e dei flussi di emigrazione (con un particolare riguardo all’assistenza alle famiglie che ne restano mutilate), alle quali sono stata assegnata. Il mio entusiasmo per l?esperienza è pari quasi soltanto al desiderio che ho di poterne fare uno strumento di informazione; di poterla cioè narrare affinché riesca a far conoscere, con la forza della testimonianza diretta, realtà e problematiche che appaiono lontane, ma delle quali a mio avviso tutti dovremmo interessarci.
A tal proposito, mi preme fare un ringraziamento. La mia presenza su queste pagine è dovuta all?entusiasmo con cui chi le amministra ha accolto la mia proposta; quella cioè di creare uno spazio in cui mi fosse possibile raccontare – col filtro dei miei occhi – le molteplici sfumature che senza dubbio mi verranno incontro durante quest?anno di permanenza oltreoceano. Quello che mi prefiggo di tenere è una sorta di diario-reportage, aggiornato con cadenza settimanale, sul quale sarà possibile trovare, per quanti di voi lo vorranno, interessanti informazioni sulla realtà sociale del piccolo paese sudamericano, sulle sue tradizioni, sui suoi usi, sulla sua gente e – perchè no – sull’impatto emotivo e psicologico che un’esperienza di tal genere potrà esercitare su chi parte. Non mancheranno spazi nei quali cercherò di relazionare con la dovizia di particolari che mi sarà possibile, i dettagli relativi al progetto, le problematiche che emergeranno e i successi di cui sarò testimone. Insomma, una finestra aperta a chiunque voglia affacciarsi. Per chi volesse scrivermi, il mio indirizzo e-mail è: maricadipierri@yahoo.it
A presto!