L?università italiana vive un brutto momento, e questa non è una grande novità. Ma nei più recenti episodi di protesta, che negli ultimi mesi si sono verificati negli atenei di tutta Italia, c?è qualcosa di nuovo. Una compartecipazione di studenti e docenti che stupisce, perché dura da tempo e riguarda praticamente tutta la sfera dell?università pubblica italiana.
Pochi giorni fa l?occupazione del rettorato alla Sapienza, terza università al mondo per numero di iscritti, potenzialmente prima per numero di problemi ed inefficienze. Ancora pochi giorni fa, le proteste all?università di Bari. Infine, giorno 21 febbraio, l?occupazione del rettorato dell?Università della Basilicata. Un?occupazione decisa per protestare contro i contenuti del disegno di legge sullo stato giuridico dei docenti universitari e che ricorda l?episodio delle dimissioni di molti giovani docenti a contratto della Facoltà di Scienze della Comunicazione della Sapienza di Roma: allora i docenti rescissero il contratto a causa di un vergognoso trattamento economico. Oggi i ricercatori e i docenti protestano contro una riforma che minaccia di rendere sempre più precaria la professione universitaria, e che colpisce in particolar modo quei giovani che vogliano tentare la carriera accademica.
Un percorso pieno di ostacoli e sempre meno appetibile, secondo il Coordinamento d?Ateneo dell?Università della Basilicata. Ciò perché alcuni punti della riforma, che propongono un ammodernamento necessario per il mondo universitario, rivelano ad un?analisi più approfondita una volontà di tagliare i costi, rendendo praticamente impossibile la ricerca.
Se infatti all?Articolo 1 lettera E il disegno di legge si propone di ?favorire l’accesso dei giovani alla docenza universitaria in modo da garantire qualificato ricambio generazionale ed assicurare la continuità dell’offerta didattica?, il ruolo dei ricercatori, a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge, viene trasformato in ruolo ad esaurimento; e non verranno bandite nuove procedure di valutazione comparativa per posti di professore ordinario, associato e di ricercatore.
Così, ?per svolgere attività di ricerca e di didattica integrativa le università […] possono stipulare contratti di diritto privato con possessori di laurea specialistica, ovvero con studiosi in possesso di qualificazione scientifica adeguata alle funzioni da svolgere. […] I contratti hanno durata massima quadriennale e possono essere rinnovati fino ad un massimo complessivo di otto anni, compreso il dottorato? (art.2 lettera i). In poche parole, il ruolo del ricercatore diventa ancora più precario. E non sembra chiaro cosa si intenda per ?qualificazione scientifica adeguata da svolgere?: forse, semplicemente, che saranno sempre più liberi professionisti a potere ottenere il ruolo di ricercatore, con il risultato che l?università si trasformi in un?azienda con stipendi inadeguati e incapace di formare al proprio interno le fondamentali iniziative di ricerca.
Anche il ruolo dei docenti viene definitivamente precarizzato: ciò impedirà l?esercizio continuo e approfondito del ruolo di docenza, che finirà per essere gestito ancora una volta da professionisti esterni all?università.
Altro punto dolente: la retribuzione di ricercatori e docenti. Le retribuzioni iniziali di ricercatori, professori associati e professori ordinari sarebbe, rispettivamente, di 20.224 euro, 36.438 euro, 48.182 euro. Cifre che, se paragonate a quelle statunitensi, rivelano tutta la loro inadeguatezza.
Nell?ultimo periodo si parla continuamente della necessità del rilancio dell?economia italiana. Molti individuano il punto debole dell?Italia nella mancanza di fondi e interesse per la ricerca. Domenico De Masi, docente della Sapienza, sostiene che l?Italia debba riuscire a far parte dell?insieme di nazioni che producono idee: in pratica, che esporti brevetti, ricerca, innovazione. Ma fino a questo momento, i cervelli preferiscono continuare a fuggire, incoraggiati (o costretti) dalla politica del governo nei confronti dell?Università.