Il Bradano nella remota antichità era collegato al porto di Metaponto, presso il quale arrivavano i preziosi materiali provenienti dalla Grecia, successivamente diffusi nelle aree interne proprio attraverso tale corso d’acqua, divenuto il confine naturale tra l’Italia e la Puglia. Lungo il Basento sorsero molti centri abitati, ubicati su monti, colline e finanche pianure. La valle dell’Agri e del Sinni, essendo ricca di acque, era una terra verde e fertile. L’Ofanto, a settentrione, permetteva la diffusione della famosa ceramica daunia. Il Noce, ai confini con il Bruzio, indirizzava i tratturi della transumanza bestiaria. Il Sele a ovest, facilitò l’influsso delle popolazione etrusche, provenienti dalle città campane.
La successiva romanizzazione del mondo antico porta alla diffusione dei loro usi e costumi, fino alla venerazione delle divinità romane. Nascono, pertanto, molteplici templi presso le sorgenti lucane, come quello della dea Mefitis, il cui santuario sorge a sud, sull’appennino lucano (Macchia di Rossano), nel IV secolo a.C. Uno dei compiti dello Stato romano, intanto, è quello di tutelare la purezza delle fonti e la protezione dei corsi d’acqua. Durante la stagione delle piogge, le quali travolgono la terra vegetale, pertanto, non è permesso ad alcuno di alterare il normale decorso dei torrenti, pena l’intervento del pretore. La limpida risorsa è fondamentale nella vita quotidiana e non poteva essere, dunque, assolutamente sprecata. Essa è, in effetti, utilizzata per l’uso comune (bagni e fontane), per le pratiche religiose (sacrifici e purificazioni) e per le attività terapeutiche, visto che sono già noti gli effetti benefici delle acque termo-minerali. Eppure questa visione idillica e perfetta si lega con la realtà più brutale e fatta di canali ostruiti, paludi immobili, putridi stagni, gente assetata e infettata dalla malaria.
Nel corso del Medio Evo sono più copiosi i dati sulla situazione idrica lucana. Tra le Vite dei santi italo-greci, quella del monaco siciliano – morto a Rapolla nel 990 – san Vitale, è rilevante in quanto mostra quanto sono numerose le fiumane asciutte d’estate, che in autunno diventano “rabbiosi percorsi acquatici generati dalla montagna”. Egli enumera anche gli insediamenti monastici che sorgono attorno ai corsi d’acqua e utilizzano la risorsa in quanto purificatrice, ma in contempo, tale forza divina va temuta, in quanto incontrollabile e impetuosa. Le strutture ecclesiastiche sono strettamente connesse con i bacini fluviali. Tra il Sinni e l’Agri si concentrano i monasteri italo-greci di rito orientale. Il più famoso è quello dei Santi Elia e Anastasio di Carbone. Tra il Basento e il Bradano sono presenti i chiostri benedettini di rito latino come Santa Maria di Banzi, San Michele Arcangelo di Montescaglioso, la SS. Trinità di Venosa. La loro ubicazione determina la costruzione di strade, fontane, mulini, ponti, piccoli borghi. Altra fonte libresca sulla risorsa idrica lucana è quella composta dal viaggiatore arabo al-Idrisi. Egli fu incaricato il 1139 da Ruggero II, per delineare un trattato di geografia sulla Lucania (Kitab Ruggiar).
Questo documento deve definire le condizioni del Regno di Sicilia, descrivendone le vie di terra e di mare, i golfi e i mari, i laghi e i fiumi. Durante i suo viaggio in Lucania lo studioso descrive in modo meticoloso la risorsa idrica, sebbene a volte siano presenti degli errori sulle distanze tra corsi d’acqua o sui tragitti, ma l’analisi è importante in quanto lo scrittore sottolinea che lungo il Bradano sono presenti molti boschi di pini, i quali, dopo essere stati tagliati, sono trasportati al mare dalla corrente del fiume, per ricavare pece e catrame, da cui traggono sostentamento i differenti paesi. E’ proprio la produzione di legname, resina e catrame a essere la base economica delle popolazioni locali. Da ciò è deducibile che i fiumi, i laghi e i mari soddisfano l’economia, le necessità alimentari. Essi sono delle primordiali vie di comunicazioni, dei mezzi che rendono possibile l’aggregazione sociale e la nascita di comunità. Importante è anche il ruolo degli specchi d’acqua artificiali: le dighe. Tra le più importanti in Basilicata, al giorno d’oggi, ricordiamo quella del Pertusillo (Fiume Agri), Camastra (Torrente Camastra), Basentello (Affluente Bradano) e Monte Cotugno (Senise). quest’ultima è la diga più grtande d’Europa in terra battuta.
Eppure innumerevoli sono i disagi che la nascita di tale struttura ha comportato agli abitanti della zona in cui essa è ubicata, almeno fino al 1999. Furono inizialmente vanificate le speranze di attuare il recupero delle tradizioni contadine e delle colture ortofrutticole. Realizzando l’invaso, infatti, molte superfici coltivabili furono perse e con esse la speranza di vedere nuovi terreni coltivabili, finalmente irrigati. I contadini delusi e impoveriti divennero dei pastori, ancora una volta in attesa di acqua, questa volta per dissetare i propri bestiami. L’unico onere che avrebbe reso possibile, fino al lontano 1999 l’utilizzo reale dell’acqua, era di realizzare delle condotte che potessero trasferire acqua dalle vasche di accumulo fino ai terreni. Qual è la situazione al giorno d’oggi? Esistono ancora dei malfunzionamenti relativi alla situazione idrica lucana? Eppure l’acqua in Basilicata, sin dall’antichità è considerabile una vera e propria risorsa.