L’Italia è scesa dal 33esimo posto del 2002 al 47esimo posto del 2004 nella classifica della competitività prodotta dal World Economic Forum (2004).
Competitività e produttività. Nel 2003, L’Italia appare in una buona posizione con un livello di produttività (104,9) prossimo alla media dell’Ue a 15 paesi. Anche le stime del 2004 appaiono confermare un buon livello di produttività (103,9), anche se in ribasso. Tuttavia, la produttività del lavoro in Italia è calata di circa il 10% in 10 anni, portando l’Italia tra i paesi con una maggiore riduzione di produttività. Una riduzione così accentuata non è presente in nessuno dei paesi europei. Nei paesi di nuovo ingresso, inoltre, la produttività del lavoro, pur mantenendosi a livelli piuttosto bassi rispetto alla Ue15, cresce rapidamente evidenziando un adeguamento delle strutture produttive e un buon livello di specializzazione degli addetti.
Innovazione tecnologica: per l’Italia un ruolo di secondo piano. Dall’analisi del numero di richieste di brevetti presentate presso l’Ufficio Brevetti Europeo (EPO) per milione di abitanti dal 1995 al 2002, emerge che l’Italia, pur avendo visto aumentare il numero di brevetti depositati negli ultimi anni, fino ad arrivare a quota 74,73 nel 2002, occupa una posizione marginale rispetto ai paesi europei concorrenti. Sempre nel del periodo 1995-2002, l’Italia ha raggiunto un livello medio di 64,76 brevetti depositati per milione di abitanti. La posizione dell’Italia è decisamente marginale rispetto a molti paesi europei come la Svizzera (423,94), la Svezia (294,20), la Finlandia (268,75) e la Germania (252,01) e non sarà facile recuperare terreno nei confronti di paesi come l’Austria (138,30), la Francia (125,66) e la Norvegia (115,66) per citarne solo alcuni. Anche presso l’Ufficio Brevetti degli Stati Uniti la posizione dell’Italia non è delle più incoraggianti (26,89 brevetti per milione di abitanti) se messa a confronto con gli altri paesi. Dal 1994 al 2001 la spesa media annua per la ricerca in Italia è stata pari all’1,05% del Prodotto interno lordo. I paesi che hanno speso meno dell’Italia sono la Spagna (0,87%), la Slovacchia (0,82%), l’Ungheria (0,76%), la Bulgaria (0,58%), la Lituania (0,55%), la Turchia (0,49%) e la Lettonia (0,41%). Senza considerare i paesi extra europei (il Giappone ha speso il 2,86% del Pil e gli Stati Uniti il 2,58%), va posto in evidenza come paesi come la Finlandia (2,84%), la Germania (2,35%), la Francia (2,24%) e l’Islanda (2,15%) spendono in Ricerca e Sviluppo più del doppio di quanto spende l’Italia. La politica di sviluppo intrapresa dall’Italia negli ultimi anni si è avvalsa di scelte strategiche a livello di sistema rivolte più ad un mercato di prodotti a basso valore aggiunto che ad un mercato di prodotti tecnologicamente avanzati. In questo contesto si inserisce la tanto discussa “fuga dei cervelli” che è interpretabile come un naturale sbocco per professionalità di alto profilo che in Italia non trovano un ambiente favorevole.
Il ruolo della formazione. L’offerta formativa e il grado di acceso ad essa giocano un ruolo di notevole importanza nella definizione della competitività di un paese. Nel 2001 l’Italia ha speso il 4,9% del Pil, oltre l’1,5% in meno rispetto alla Danimarca (6,7%), e alla Svezia (6,5% ). Se la spesa per l’istruzione in generale assume valori marginali rispetto a molti paesi europei, un quadro ancora più preoccupante traspare dalla spesa per l’istruzione universitaria che nel 2001 è stata allo 0,9% del Pil, quanto la Grecia e meno di tutti gli altri paesi dell’Unione europea. Ad esempio, la Finlandia (1,7%), la Svezia (1,7%) e la Danimarca (1,6%) spendevano nel 2001 circa il doppio rispetto all’Italia.
La sfida della competitività. I paesi che maggiormente si impegnano nell’innovazione e che più di tutti investono in ricerca e in formazione giocano un ruolo chiave nel quadro della competitività a livello internazionale. Inoltre, il fatto che ci si preoccupi della concorrenza dei paesi dell’Est europeo e dei paesi asiatici, mostra che i nostri competitors non sono più solo i paesi tecnologicamente avanzati, ma i paesi le cui economie si basano sulla produzione di beni a basso valore aggiunto. In conclusione, si assiste ad un effetto negativo di causazione circolare cumulativa (una serie concatenata di effetti negativi): non si investe in innovazione, quindi non si è competitivi sul mercato, si tende ad operare sulla leva del prezzo (quindi si de-localizza la produzione), si trascura il settore della formazione che non è più in grado di fornire un adeguato contributo allo sviluppo sociale e culturale del Paese e si continua a perdere competitività nei confronti di quasi tutti i paesi europei. Nella società e nell’economia dell’informazione tutto questo è velocizzato e reso più evidente dalla rapidità dello sviluppo tecnologico, recuperare il divario accumulato in questi anni sarà sempre più difficile se non si avvia una nuova politica di sviluppo. Quella della competitività è una sfida che deve coinvolgere e impegnare tutti gli attori sociali e politici e alla quale è ormai impossibile sottrarsi.

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