Le ristrutturazioni, ovvero, lo smaltimento dei costi aziendali in eccesso, improduttivi, stanno diventando una forma di pensiero alla quale fare costantemente riferimento quando le cose, per gli imprenditori dallo yacht facile, non vanno più bene, sfuggono di mano. Gli esempi, in tal senso, si sprecano. Servono centinaia di milioni di euro per salvare la barca che affonda? Via il personale dipendente, poi si vedrà. Certo, perché i primi a fare le spese di questa ingiusta regola sono proprio i lavoratori. Nella maggior parte dei casi si paga, in tanti, la negligenza o le distrazioni volute da pochi, gli amministratori, appunto.

La Barilla, grande e maestosa azienda italiana, non fa eccezione alcuna. In evidenti difficoltà finanziarie ha pensato bene di strutturare un piano di riorganizzazione aziendale alquanto ambiguo al fine di recuperare diverse centinaia di milioni di euro, a danno delle maestranze, naturalmente.

In particolare, il programma industriale finalizzato al risanamento del colosso italiano dell’agroaolimentare prevedeva la chiusura dello stabilimento di Matera ed il licenziamento (circa 200 lavoratori), oltre alla definitiva chiusura del centro ricerche di Foggia e del mulino di Termoli.
Le scorse settimane, però, il coordinamento nazionale del gruppo Barilla ha ripreso la discussione sul Piano industriale presentato dall’azienda il 29/10/2004 a Parma. Sul tavolo delle trattative c’era anche la forte proposta sindacale che mirava, in pratica, al ritiro stesso del Piano. A tale posizione è seguita la dichiarazione dell’azienda emiliana, la quale ha esplicitato che a seguito delle azioni di lotta messe in atto dal sindacato si è fatto si che l’azienda aprisse le porte alla sospensione dell’applicazione del Piano, per il tempo necessario che serve ad approfondire le questioni con il Sindacato.
Questo rivaluta evidentemente la possibilità di avere un tavolo negoziale libero da pregiudizi e di avviare un confronto serio e sereno tra le parti. I prossimi appuntamenti saranno utili a mettere in piedi tutte le azioni tese alla salvaguardia dei lavoratori attraverso il rafforzamento dei siti produttivi e/o a soluzioni lavorative alternative.

I signori Barilla hanno già dimenticato, a quanto pare, i finanziamenti ricevuti (sisma 23/11/1980) di almeno 15 milioni di euro per rilanciare il settore della pastificazione a Matera. Così come si è già dimenticato l’ondata di sgravi fiscali che in quell’occasione (e per parecchi anni) ha avuto come oggetto l’azienda emiliana stessa. In effetti, si ricorda solo ciò che conviene.

Quindi, con il piano di riorganizzazione aziendale congelato non ci sono più pericoli per i lavoratori materani? Nessuna forma di trionfalismo è stata espressa dalle maestranza durante l’incontro che, in pratica, ha illustrato i contenuti dell’incontro “conciliativo” tra i sindacati e l’azienda emiliana. I lavoratori del pastificio di via Cererie, i quali producono da circa vent’anni 2200 quintali di pasta al giorno, tengono alta la guardia in attesa di riprendere il confronto con l’azienda e di stabilire, con le istituzioni locali, una strategia comune per la risoluzione della questione.

Questa pesante crisi che caratterizza l’area del materano però si aggrava ulteriormente se si guarda anche alla situazione di instabilità di altri comparti produttivi. Un esempio? Il polo del salotto. Tra il 2002 e il 2004 si sono persi (province di Matera, Bari e Taranto) 2.500 posti di lavoro e sono state chiuse la bellezza di 60 imprese che, pertanto, hanno prodotto circa 600 cassintegrati.

Ecco perché la ripresa del negoziato con la Barilla è sicuramente un fatto positivo, che rimette al centro le questioni che noi da sempre abbiamo sollevato, soprattutto in questo ultimo periodo di forti tensioni per l’impatto sociale che il problema crea.

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