A volte ci sono argomenti di cui non vorremmo parlare e articoli che non vorremmo mai redigere. Quando però viene superato il limite della decenza, ed i sentimenti più profondi di ognuno di noi vengono sfregiati senza pudore a causa delle scelte di qualche balordo, allora scriverne diventa un obbligo morale.

Questa storia sarebbe anche curiosa e quasi comica, se non toccasse argomenti così gravi. Al cimitero comunale di Matera, in contrada Pantano, la situazione è al limite del tollerabile già da tempo, tanto che pensavamo di aver già raggiunto il fondo. Non parliamo solo della totale assenza di manutenzione della struttura e la mancata cura del verde, per cui erbacce e disservizi accompagnano quotidianamente il dolore dei materani. E? la costruzione stessa ad essere stata mal concepita. Se si escludono i cippi privati, ed i loculi costruiti negli anni ottanta e novanta, le ultime costruzioni sono un vero e proprio monumento alla crudeltà: i loculi sono disposti su ben cinque piani, e raggiungono un?altezza tale che diventa indispensabile l?utilizzo di una pesante ed arrugginita scala di acciaio per portare il saluto o un fiore al proprio congiunto. I molti anziani che si recano al cimitero trovano impossibile arrampicarsi sulla traballante scala, sempre che ne trovino una libera, visto che sono in numero assolutamente inferiore alle necessità. Oltre che pregare per il proprio caro, si è costretti anche ad implorare il cielo che il loculo assegnato con un sorteggio non sia proprio ad uno degli ultimi due piani, così esposto da essere sferzato dal vento e dalle intemperie e così lontano da rendere impossibile quel contatto intimo con l?immagine della persona scomparsa, che tanto conforto può portare. Ebbene ci sbagliavamo, sono stati capaci di fare di peggio: hanno partorito l?inimmaginabile, hanno varcato ogni limite, sono riusciti a trasformare in una farsesca pantomima i nostri momenti più tristi.

Hanno progettato e costruito loculi più stretti delle bare che devono contenere. Se ne sono accorti quando hanno cominciato ad usarli. Per quanto sforzi si facessero, la bara non riusciva ad entrare. L?addetto del cimitero ha inveito contro i congiunti del defunto, colpevoli, a suo dire, di aver comprato una bara troppo grande. La realtà era ben diversa: al contrario dei vecchi loculi prefabbricati, quadrati e sufficientemente larghi, quelli nuovi, anch?essi prefabbricati, sono invece rettangolari. Per risparmiare spazio, hanno avuto la brillante idea di disporli non in orizzontale, ma in verticale. Il risultato è presto detto: entrano solo le bare bianche per i bambini, per tutti gli altri si ricorre ad una soluzione assurda e speriamo temporanea: alle bare, prima della definitiva sepoltura, vengono segati i bordi più esterni. Il rumore stridente di una sega si sovrappone a quello dei singhiozzi e delle lacrime, come un ultimo ghigno beffardo della sorte avversa che si prende ancora gioco del nostro dolore. Per chi invece è parecchio in sovrappeso, questa operazione non è sufficiente, così una seconda soluzione, balenata solo per un attimo nella mente perversa di qualcuno, era di inserire le bare di lato. Tutto così assurdo da sembrare inverosimile. Immaginiamo già il rimbalzo delle responsabilità. Gli operai accuseranno la ditta costruttrice, che a sua volta incolperà la società che ha costruito i prefabbricati, che incolperà gli operai che li hanno montati male, che accuseranno quindi il progettista, che a sua volta darà la colpa al Comune perché i termini dell?appalto prevedevano troppi loculi per uno spazio insufficiente, il Comune scaricherà la responsabilità sulla vecchia amministrazione, che quindi darà la colpa agli amministratori che trenta anni fa avevano previsto un cimitero troppo piccolo, e così via in una spirale infinita.

Ma non sarà questo patetico balletto delle responsabilità a placare la rabbia e lo sconcerto di tutti quei materani che stanno sopportando questo tragico aggravio al loro lutto. Dato l?argomento, avremmo potuto scrivere usando dotti richiami letterari, ardite metafore o poesia retorica, ma abbiamo preferito unirci alla disapprovazione dei materani nel modo più semplice: il loro grido è anche il nostro.

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