Grande attenzione dei media sul petrolio lucano: se ne è occupata la trasmissione Rai “Gaia”, ed un articolo è apparso domenica sul Corriere della Sera. Qualche tempo fa, anche Report indagò sulle trivelle. Il programma accusava l?ENI, mostrando danni ambientali, storture burocratiche, trivellazioni clandestine, promesse non mantenute. Il lavoro di Giovanni Fasanella e Gianfranco Pannone, presentato in anteprima a Torino e Milano (il 30 è a Firenze), e che vedremo in Rai, invece è diverso, nella forma, nella sostanza e nelle intenzioni. Nei 56 minuti del filmato si cercano invano una risposta, una verità, una presa di posizione. La voce non viene mai alzata, la mano mai forzata. Chi, come noi, conosce la vicenda e i suoi retroscena, ne è spiazzato. Attenderà ad ogni inquadratura, ad ogni intervista, un segnale dell?autore che dica: ?Questa è la parte giusta, io sto con loro?. Ma il segnale non arriverà mai, per due motivi. Sono questi a farci comprendere come quel presunto limite sia in realtà la vera forza del documentario. Gli autori infatti non hanno cercato di convincere lo spettatore di una loro verità. Non lo hanno angosciato con tristi certezze, non lo hanno rassicurato con facili soluzioni, ma lo hanno messo di fronte a insolvibili contraddizioni. Gli hanno posto domande, non gli hanno fornito risposte.
E? una scelta autoriale ben precisa: il rosselliniano ?mostrare, non dimostrare?. In parte però questa scelta è stata influenzata da un secondo motivo. Gli stessi autori cioè sono stati vittime di quella ricerca infruttuosa vissuta in un primo momento dagli spettatori. E? palpabile come inizialmente si cerchi fra la gente, fra i boschi, fra le voci, il formarsi di una protesta. Fra le rughe di un pastore, fra gli ulivi di un campo, nella sala del municipio, Fasanella e Pannone erano pronti a testimoniare l?inizio di una piccola rivolta, a filmare un diffuso malcontento, un dibattito appassionato. Ma nulla di questo avviene: le scintille non prendono fuoco. Il petrolio accende la sua fiamma, ma con le sue royalty spegne ogni dibattito, addormenta ogni malcontento. Alla luce di questo, ogni aspetto del film prende significato. E? per questo che seguiamo tutti i preparativi del dibattito fra i candidati sindaci di Spinoso, ma poi il dibattito non lo vediamo. In realtà una grande folla di gente, ai piedi di un pozzo estrattivo la vediamo. Si sono mossi a centinaia dal paese, a piedi e in auto, e sono giunti in vista del pozzo, dove si sono radunati. Ma non è una protesta: è la processione della Madonna di Viggiano. Ancora, un pastore è disincantato: il petrolio porta più danni che bene. Poi si gira, e scopriamo che indossa un giubbotto della Esso Super Oil.
L?opera si sviluppa attorno a tre personaggi chiave. Il sindaco di Viaggiano, Vittorio Prinzi, che cerca di gestire i ricchi proventi dell?oro nero discutendone con i cittadini; Francesca Leggeri, proprietaria di un?azienda agrituristica e biologica in causa con l?Eni: l?oleodotto le taglia a metà la sua terra, provocandone una cicatrice insanabile; Gianni Lacorazza, giornalista di Montemurro, che vede nelle royalty una possibilità per uno sviluppo indipendente dal petrolio e che possa far tornare gli emigrati. Le bellissime musiche e le stupende immagini della Val d?Agri, con gli aspri monti, le verdi distese, i boschi, gli specchi d?acqua, creano una forte suggestione. Ci sono anche delle ricercate soluzioni registiche, come quando con il suono di una zampogna le mille luci del Centro Oli sembrano per assurdo partecipare all?atmosfera natalizia. O ancora quando alla fine del documentario la Leggeri trova le pietre che si diverte a disporre l?una sull?altra (chiaro simbolo della sua azienda, all?inizio del film perfettamente impilate), sparse per terra inspiegabilmente e senza un chiaro colpevole. Di raro impatto emotivo è la vista dello squarcio ambientale provocato dalla posa delle tubazioni fra il bosco sventrato e un antico edificio in pietra. Ma forse è proprio qui uno dei limiti dell?opera. Se infatti sulle conseguenze sociali dell?impatto petrolifero si ricerca, si indaga e ci si interroga, la denuncia ambientale non va mai oltre l?immagine poetica e laccata: non denuncia, non verifica. Proprio come quei poeti romantici che si lamentavano dei binari che segnavano l?immacolata campagna, ma non si rendevano conto del ben più grave disastro ecologico provocato dalle locomotive a carbone.
Il dramma personale della Leggeri coinvolge, ma sarebbe stato utile un maggiore approfondimento. Il finale è ottimista: la Leggeri sistema le sue pietre, i ragazzi della Val d?Agri sperano nel futuro. Però, chissà?