Colpisce, la testimonianza di Anna Picardi, per la ricchezza dei dettagli e per la lucidità con cui richiama alla memoria la sua storia e quella della sua famiglia.

Una delle tante storie di emigrazione dalla Lucania, storia di separazioni e ricongiungimenti, di sacrificio e riscatto, che ha inizio nel 1960, quando Anna ha solo dieci anni e il padre, nonostante abbia la casa e un po? di terra, si vede costretto ad andare a lavorare in Germania. Nello stesso anno la piccola Anna, per desiderio della nonna materna ? che aveva sognato di diventare maestra e si era invece ritrovata ad accudire ai tanti fratellini e a la famiglia quando il padre era emigrato in Argentina ? viene mandata a Potenza perché continui gli studi.

E se ogni giorno ad Accettura arrivano notizie fresche da Friedrichshafen, sul lago di Costanza, perché gli uomini scrivono a turno e così basta bussare ogni giorno ad una porta diversa per essere rassicurati sul conto dei propri cari, la piccola Anna, a Potenza, deve combattere la sua prima battaglia contro la nostalgia e la solitudine. La aiuta ad andare avanti il ricordo della masseria della nonna, che ha disegnato ?ad occhi chiusi? e che le fa compagnia dalla parete di fronte alla scrivania: ripensa alle grandi tavolate dopo la trebbiatura, ai canti e i balli al chiaro di luna al suono dell?organetto, agli aneddoti dello zio, alle serate invernali accanto al camino ?con mamma, la bisnonna e le altre vecchiette del vicinato a raccontarci storie??.
Di quel mondo familiare è rimasto poco o niente: le pecore, le galline, i tacchini, le capre sono stati venduti, e le persone care ora sono in Francia, in Svizzera, in Germania. Nel ?63 anche la madre di Anna raggiunge il marito a Friedrichshafen con il figlio e va a lavorare in una filanda, lasciando le figlie una a Potenza e l?altra ad Accettura con i parenti: la diaspora è completa e la famiglia ormai si riunisce solo d?Estate, per le vacanze.

Quando nel 1966 i genitori decidono di portarla con loro in Germania Anna scopre la condizione degli emigrati in tutta la sua sconcertante durezza entrando nelle famose ?baracche? che servivano di alloggio alla manodopera dello stabilimento. Sono le stesse baracche in cui durante l?ultima guerra erano tenuti i prigionieri, un insieme di edifici molto simile a un lager (?Quando, molti anni dopo, visitai il campo di concentramento di Dachau? dice ?notai la grande somiglianza??). Tra quei, corridoi bui, stanzoni sporchi, gabinetti maleodoranti accanto ai capannoni con i macchinari per forgiare i blocchi di cemento il padre di Anna è riuscito ad ottenere uno stanzone solo per sé e per la sua famiglia. E piano piano arrivano altre mogli, altre famiglie si ricongiungono. Si ricrea, anche grazie a don Aurelio, un missionario di Brescia, una piccola comunità. Anna ricorda i pomeriggi del sabato, quando ?mentre gli uomini si accingevano a giocare chi a carte chi a bocce, per i bambini le cataste dei blocchi di cemento diventavano nascondigli e fortini e le donne si sedevano in cerchio all?ombra a chiacchierare, proprio come al paese. Al calar della sera, poi, spuntava una fisarmonica e tutti a cantare e ballare e far festa??.

E? sempre grazie a don Aurelio che Anna si trova, non ancora diciottenne, ad insegnare in un paesino di montagna a sessanta chilometri da Stoccarda, nell?unica classe italiana della circoscrizione. Una pluriclasse di trentanove alunni, tra i sei e i quindici anni. Tutti figli di emigranti, che non parlano una parola di tedesco e che Anna sente di dover aiutare, trascorrendo buona parte del suo tempo con loro anche fuori dall?orario scolastico. Anno dopo anno la Germania diventa una seconda patria. Quando, sempre continuando ad insegnare, finalmente consegue la laurea, la sua tesi,?La figura del lavoratore straniero nella letteratura tedesca?, sarà scritta in tedesco e pubblicata in Germania.
Ma si può riuscire ad integrarsi senza rinnegare le proprie origini: ?Accettura? spiega ? rimane per me il giardino dell?Eden, il punto fisso, il luogo del ritorno per passarci la vecchiaia e morirvi?. E a chi si meraviglia, indagando sulla sua provenienza, nel sentirsi rispondere che è italiana, e le chiede ?Ma del nord, vero?? confessa di rispondere con una punta d?orgoglio. ?No, del cuore del sud. Sono lucana?.

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