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Parmalat, 90 giorni per sperare

I lavoratori dello stabilimento Parmalat di Atella, 160 dipendenti e una settantina di stagionali, i quali producono prodotti da forno con il marchio "Mister Day", nei prossimi 90 giorni conosceranno il loro futuro lavorativo. Il 30 novembre, infatti, si avvia a conclusione l’azione di monitoraggio dei creditori che hanno avanzato le proprie, quanto legittime, istanze all’amministratore straordinario, Enrico Bondi. Da quel giorno in poi ci saranno 30 giorni di tempo per eventuali ricorsi e altri 60 giorni per l’organizzazione di una società "assuntore". Per tutto quello che succederà da quel giorno in poi, per i lavoratori lucani, non vi sono né conferme, né smentite.

I lavoratori di Atella, del resto, lavorano da mesi alternandosi a settimane di cassa integrazione, nell’incertezza più assoluta. La protesta è scattata immediatamente dopo aver capito che il piano di riordino aziendale cui ha lavorato il commissario straordinario Bondi in realtà escludeva, di fatto, da ogni rilancio aziendale i prodotti da forno (quindi, di Atella), preannunciandone una cessione, o, peggio ancora, la chiusura. Il motivo? L’area produttiva degli stessi prodotti da forno non rientrerebbe nelle attività definite di core business (ovvero, l’attività principale e trainante sulla quale si base il business) salvare la società e i lavoratori. O meglio, salvare il posto degli altri lavoratori. L’azienda Parmalat, prima del crack finanziario, contava molte realtà produttive dislocate in tutt’Italia, dall’Emilia Romagna alla Sicilia, dalla Lombardia alla Basilicata e ancora Piemonte, Friuli, Veneto, Campania, Lazio, Liguria. In tutto, si parla di circa una ventina di stabilimenti in dieci regioni e 4.000 dipendenti. La settimana scorsa una delegazione di lavoratori dello stabilimento di Atella ha manifestato di fronte alla sede della Regione Basilicata, a Potenza. Un centinaio di lavoratori hanno bloccato la strada di fronte alla Regione per circa un’ora prima di essere ricevuti dal presidente della Giunta Bubbico.

Quest’azione ha poi costretto la Regione ad assumere una posizione più decisa in merito. L’assessore regionale alle Attività produttive, Gaetano Fierro, con l’intento di vagliare possibili risoluzioni al gravoso problema, ha recentemente incontrato i sindaci della zona dello stabilimento, i parlamentari lucani Piero Di Siena e Mario Lettieri, il presidente della Provincia di Potenza, Sabino Altobello, i dipendenti della Parmalat e rappresentanti sindacali. Si aspetta l’esito del consiglio regionale convocato in questi giorni per dare, si spera, risposte più concrete.

I sindacati ritengono che, in questa fase delicata, si debba riprendere a pieno regime la produzione industriale attraverso un rilancio commerciale dei prodotti e dello stesso marchio Parmalat. Gli stessi chiedono da più parti, al Governo nazionale, di assumersi in pieno la responsabilità di iniziative a partire dal Ministero delle Attività Produttive, indirizzando e dando una prospettiva industriale e occupazionale a questo settore ed a tutti gli stabilimenti del Mezzogiorno a partire da Atella.

Al danno, come sempre in questi casi, si aggiunge la beffa. Un’indagine commissionata dallo stesso commissario straordinario, Enrico Bondi, all’agenzia di detective privati Kroll avrebbe, infatti, individuato il "tesoro" di Callisto Tanzi: 8,9 milioni di euro oltre a diversi appartamenti lussuosi nelle più prestigiose località turistiche europee (tra cui la più importante sarebbe Chamonix) e uno yatch di trenta metri chiamato Ipsum trovato nel retro di un cantiere navale a La Spezia. Vergogna nazionale.