Il 23 giugno 1946 il governo belga e quello italiano siglavano un protocollo che sanciva da parte dell?Italia una fornitura massiccia di manodopera in cambio di forniture di carbone ad un prezzo relativamente conveniente. Nel giro di cinque anni, dal 1947 al 1952, cinquantamila italiani emigrarono in Belgio sostituendo i prigionieri tedeschi che durante la seconda guerra mondiale erano stati utilizzati per il lavoro in miniera, rifiutato dai belgi perché considerato (a ragione) troppo pericoloso. Fu così che migliaia di giovani ? e tra questi molti lucani – abituati al lavoro nei campi e ad una vita alla luce del sole si ritrovarono catapultati nell?inferno delle miniere di carbone, spesso senza addestramento preliminare, in condizioni di arretratezza e di scarsa sicurezza.

Forse non è possibile capire, senza averlo vissuto personalmente, lo sgomento di questi uomini davanti alla realtà della miniera. Alcuni ? raccontano i protagonisti di questo capitolo particolarmente doloroso dell?emigrazione ? dopo aver vissuto la via crucis delle visite mediche e della burocrazia ed essersi adattati a dormire nelle baracche dei prigionieri di guerra su materassi sporchi o anche per terra non ce la fanno e preferiscono tornare a casa riconsegnandosi ad un destino di miseria e di fame piuttosto che scendere anche un chilometro sottoterra, nelle viscere della miniera. I pericoli sono tanti: c?è il rischio che l?acqua delle falde sotterranee allaghi gli stretti cunicoli in cui si lavora, o che le gallerie franino seppellendo i minatori, si può morire asfissiati per la mancanza di aria in alcuni punti della miniera, o intossicati dalle sacche di grisou, la cui minaccia fa diventare un buon auspicio anche la compagnia dei topi.

I minatori lucani provengono da Acerenza, Anzi, Castelmezzano, Fardella, Genzano, Muro Lucano, Pescopagano, Pietrapertosa, Pignola, San Fele, Ruoti. Le loro storie si somigliano, sono storie di sfruttamento, di un lavoro che rovina la salute, di sacrifici e di lotte per condizioni di vita più umane. Nessun lucano morì nella tragedia di Marcinelle nel 1960, a seguito della quale ? dopo un periodo di proteste e scioperi ? si assistette ad un graduale miglioramento della situazione, ma le morti sul lavoro e gli incidenti seri nelle miniere (Eisden, Zolden, Winterslag, solo per citarne alcune) non si contano. Anche per i più fortunati la vita in miniera non è senza conseguenze: numerosissimi i casi di rachitismo, anemia, enfisema, bronchite, tubercolosi, silicosi, malattie professionali facilmente riconducibili al lavoro in miniera.
Tra le tante storie di sacrificio, dolore (e spesso fortunatamente riscatto) un posto particolare occupa l?esperienza di Pietro Cristiano. Originario di San Fele, arriva in Belgio nel 1951., dove lavora per venticinque anni in miniera e per altrettanti si impegna a favore dei lavoratori emigrati in Belgio e delle loro famiglie in qualità di delegato alla Sicurezza e Igiene e al Consiglio d?Impresa ma anche come corrispondente dell?INCA-CGIL. Cristiano non si preoccupa solo di risolvere le pratiche di lavoro e di aiutare gli emigrati con la burocrazia del paese di adozione: il suo è un aiuto concreto, un sostegno che prevede a volte l?ospitalità e l?accoglienza in casa sua per i nuovi arrivati, chiedendo la comprensione e l?aiuto di moglie e figli, mettendo a disposizione indumenti, coperte, lenzuola, pentole, prendendo giorni di ferie per fare da interprete e aiutare nella ricerca del lavoro…

Anche in Belgio, come quasi in ogni realtà di emigrazione, il perdurare di un?identità lucana è affidato alle donne. Mogli e figlie di minatori, che una volta giunte in Belgio lavorano in fabbrica, nella ristoranti, nelle sartorie, conservano il ricordo della terra d?origine tenendo vive le tradizioni, soprattutto quelle culinarie e religiose. Ancora oggi infatti, soprattutto dove la presenza di lucani provenienti dallo stesso paese o dalla stessa zona è più consistente, ci sono comunità che si riuniscono organizzando feste tradizionali o che raccolgono soldi da portare o mandare al paese d?origine per la festa del santo patrono. Accanto al desiderio di continuità dei più anziani va però registrato il senso di distanza ? o piuttosto di una diversa appartenenza ? che caratterizza le nuove generazioni.
Pienamente inseriti nel nuovo contesto socioeconomico (radicalmente modificato dopo la chiusura delle miniere nel 1992) i figli e nipoti dei lucani del Belgio pur desiderando visitare la terra dei padri, essendo spesso in grado di parlare dialetti cristallizzati e conservando il ricordo di giochi che non esistono più se non nella memoria dei loro nonni, sono consapevoli di avere un?identità complessa e comunque radicalmente diversa da quella di chi arrivò in Belgio con una valigia di cartone nel secondo dopoguerra, spinto dalla fame e dalla disperazione.

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