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Storia: Sasso di Castalda (parte I)

Il paesino di Sasso di Castalda (PZ) sorge tra le vette dei monti lucani e l?origine si perde nei secoli trascorsi. La prima attestazione relativa all?esistenza del borgo risale infatti al 1068, quando antichi documenti descrivono il paese di Pietra Castalda, che sorge lungo le pendici di cime rocciose e aspri boschi, il cui castello domina valli e colli, tanto che il significato dello stesso nome è rupe fortificata. Nel corso del XII secolo la roccaforte di origine normanna venne restaurata e governata da differenti casati, fino alla famiglia dei conti Gaetani d?Aragona, i quali riedificarono interamente il castello, di cui restano oggi soltanto pochi ruderi.

Sasso di Castalda non è soltanto una serie di vicende storiche, che si perdono nelle pieghe del passato, ma è ricco di boschi, acqua, tradizioni, leggende? L?architettura del paese appare antica, le cui casette sono state ristrutturate tenendo presente l?arcaica struttura originaria e immerse nella natura incontaminata. Proprio quest?ultimo elemento connota e caratterizza il piccolo borgo lucano. Lungo le pendici del monte Arioso, poco distante da Sasso, è possibile posare le piante dei piedi su un terreno soffice, ricoperto da strati di foglie, ingialliti dall?autunno. Il suolo rimbomba sotto i passi dell?uomo, dato che migliaia di arvicole scavano sotterranee tane e rifugi. I ciclamini e gli agrifogli arricchiscono e impreziosiscono la fitta boscaglia di cerri, sui cui rami cinguettano indisturbati variopinti uccellini. Agli alberi secolari si sostituiscono prati ricoperti di gentile e verde erbetta oppure scoscese radure di felci avvizzite dal tempo autunnale, a formare un variegato paesaggio che si modula sulle creste dei monti, segue valli e conche, si adatta alle ripide e rocciose pareti.

La natura selvaggia dona all?uomo anche abbondanti quantità di pura e limpida acqua che sgorga da sorgenti incorrotte e inserite in boschi dall?aspetto quasi surreale. La faggeta di bosco Costara ne è un esempio. Il suolo è completamente ricoperto da cumuli di foglie ingiallite, che crepitano sotto i piedi umani, il terreno diviene così un soffice manto su cui passeggiare, correre, giocare, perdersi in un luogo quasi ultraterreno, lontano dal chiasso della città, dal rumore delle autovetture, dalla frenesia che caratterizza molte delle giornate umane.

La faggeta custodisce anche dei segreti al suo interno. In primo luogo il Vecchio Faggio, un albero di tre o quattrocento anni, che vive nascosto tra le piante più giovani, sopravvissuto all?incuria del tempo e recante sul suo tronco i segni del fluire delle epoche. Il fusto è maestoso e imponente, segnato dai tanti rami caduti che hanno lasciato fori scavati nel legno. La cima si perde nell?azzurro del cielo e le autorevoli fronde hanno dimensioni grandiose, così come il tronco che per essere abbracciato sono necessarie quattro persone. Gli agrifogli presenti sembrano inginocchiarsi ai piedi del Vecchio Faggio quasi in segno di rispetto e riverenza. Ataviche leggende narrano altresì che l?albero è chiamato San Michele, poiché l?arcangelo protegge i viandanti in marcia per le vie del bosco, dato che il luogo potrebbe essere popolato di spiriti e creature misteriosi.
Bosco Costara custodisce inoltre i resti di antiche attività umane, realizzate dalle popolazioni autoctone nel corso dei secoli e nel pieno rispetto della natura. Si scorge una nevaia, ossia una profonda buca scavata nel terreno, la quale era rivestita di coperte e sale, in cui la gente conservava la neve per venderla in città e far così funzionare dei primordiali frigoriferi. La neve veniva in seguito posta nella camera stagna di metallo dell?utensile collocato nelle dimore dei ricchi signori. Gli alberi nascondono anche una carbonaia, cioè una capanna di legname accatastato, sul quale le persone ponevano paglia e terra, dopo aver realizzato una canna fumaria. Essi provvedevano ad appiccare il fuoco e attendevano ore, in modo da ottenere del carbone, da utilizzare nelle loro dimore oppure rivendere nei paesini vicini o in città. Allo stesso modo il legno dei faggi era usato per realizzare la mobilia presente nelle case lucane; intanto la natura faceva il suo corso e le faggiole cadute sul suolo germogliavano a dar vita a nuovi rigogliosi alberi.

Le precedenti descrizioni appaiono quasi una storia di altri tempi, che lo scrivente narra per far sognare i cari lettori, eppure tali luoghi esistono ancora e l?incontaminata ricchezza è ancora presente. Bisogna incominciare a riflettere e pensare se la via intrapresa fino a oggi, volta all?uso e non di rado all?abuso delle risorse naturali, è fruttifera oppure è più opportuno compiere dei passi verso la tutela e un nuovo utilizzo della natura, in modo da valorizzarla quale risorsa, su cui realizzare nuove attività economiche e produttive.