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Il viaggio di una giovane lucana

Navigando su internet, trovo quasi per caso il racconto di Angela Maria Carlucci, una storia di emigrazione ?al femminile? che colpisce per la lucidità e la sincerità con cui si narra un vissuto fatto di sacrifici, di sofferenze, di nostalgia. Parlando di sé e della sua vita in Svizzera la Carlucci, pur cogliendo quanto di bello e di stimolante sia presente nella nuova realtà, non nasconde una lacerazione profonda, una ferita che forse ogni emigrante si porta dentro e che solo a volte si riesce, nel tempo, a sanare.

Quando Angela lascia la Lucania non ha ancora diciotto anni ed è sposata da un mese. Siamo nel 1963. A Chiasso lunghissime ore di attesa per la visita medica, in sale enormi, tra medici freddi e separate dai propri mariti. E poi la solitudine, il lavoro durissimo, ?pieno di polvere e in mezzo ad un rumore frastornante? che però le permette di fare amicizia con altre donne italiane. Ma ci sono anche i momenti di gioia e di svago: i film di Visconti e di Fellini, quelli con la Loren, Mastroianni, De Sica, le passeggiate al parco, le cene con i nuovi amici? Quando arrivano i figli tutto sembra ancora più difficile: chi non trova nessuno a cui lasciarli, come Angela, sceglie di riportarli a casa, al paese, dai genitori. Un?altra ferita, un?altra separazione, per poi ricongiungersi ma vivere nel senso di colpa e nella preoccupazione di saperli soli a casa, mentre si lavora per garantire loro un futuro migliore. Il legame con l?Italia non si spezza facilmente, non si vuole recidere il filo a cui è così intimamente connessa la propria identità. Angela ricorda come ?si ascoltava la radio, si leggevano giornali italiani, si tornava anche due volte l?anno in Italia, si scrivevano più lettere, perché il telefono non c?era, o costava troppo??. E aggiunge: ?Mi rammarica che oggi, con il telefono, si sia perduta l?abitudine di scrivere lettere. A me piaceva tanto scrivere lettere, l?emozione che suscitava l?arrivo di una cartolina o di una busta con francobolli e timbri postali??.

Eppure ad un certo punto si ha come una rivelazione, un?epifania: Angela scopre che è meglio ?non pensare a rientrare perché ciò non fa che lacerare l?anima?. Si sente italiana, i suoi fratelli sono ancora al paese, tornare in Italia per le vacanze è sempre bellissimo ma affiora ormai la consapevolezza che ?tornare al paese sarebbe come emigrare nuovamente?. Ormai i figli si sono integrati, e anche lei ha scoperto nella sua terra d?adozione le associazioni culturali, il teatro, i concerti di musica classica, e l?unico rimpianto che forse le rimane è quello di non aver vissuto appieno la giovinezza.

Ma sofferenze e i sacrifici le hanno insegnato tanto, dandole occhi per vedere e capire la condizione di chi ancora è costretto a lasciare la sua terra. Pensando ai profughi e agli immigrati di oggi dice: ?un tempo anche noi emigrati eravamo visti così. Credo nella sofferenza degli altri perché l?ho provata sulla mia pelle. La terra straniera solo dopo vent?anni ha iniziato a diventare un po? meno straniera e un po? più mia??.