Vogliamo inaugurare lo spazio ?Creativamente? con una riflessione acuta, del giovane poeta Francesco Arleo, sul valore della parola poetica ?che non si vende?? La rubrica ospiterà ogni mese un libro di un autore lucano, ma anche riflessioni sul mondo letterario, recensioni di libri di respiro nazionale e mondiale, interviste a poeti e scrittori affermati, convinti che all?isolamento culturale non giovi la chiusura e il fanatismo sociologico, ma serva il confronto sano e lo scambio con le diverse realtà culturali. Forti di tale precetto, offriamo l?opportunità di visibilità a chi volesse pubblicare su rete materiale inedito, come poesie e racconti, recensioni o altro a cui ho accennato sopra, inviando gli scritti ai seguenti indirizzi:
m.l.iannotti@jumpy.it
mluigia.iannotti@tiscali.it.
Gli inediti verranno selezionati da esperti e commentati. Attendiamo fiduciosi?
La parola che non si vende
di Francesco Arleo
Tante volte, tra banchi o tavoli diversi ci si chiede perché la poesia si legge poco. Meglio ancora dire la poesia vende poco. Le risposte della sociologia dei processi culturali e della statistica sociale non colgono neppure lontanamente quanto di vero c?è in questa presunta mancata lettura o vendita della ?presupponibile? arte chiamata poesia.
La poesia è per sua stessa natura sconveniente. Anzi la poesia è doppiamente sconveniente. È sconveniente per chi la scrive perché essa svela la debolezza umana e la sua morbosità. È sconveniente per chi la dovrebbe leggere perché svela la stessa debolezza umana, ma inespressa fino all?istante in cui si legge. Leggere poesia significa presupporre l?ascolto della propria debolezza rivelata.
Diamo per buoni questi primi appunti e aggiungiamo qualche tassello in più.
Leggere poesia è impossibile da quando la poesia si è allontanata dalla comunicazione orale e da quella visiva. Mi spiego meglio: fino a quando la poesia sarà trattata quale arte dispari rispetto alle arti visive e teatrali (dove per teatrali s?intende la capacità di rappresentare la doppia realtà metafisica e addirittura esoterica della vita e del suo contrario) essa non avrà nessun ruolo nel nostro tempo di rinunce.
In ultima analisi leggere poesia significa misurare al millimetro la distanza della propria forza rispetto alla finitezza assoluta della propria vita. Ogni volta che ci mettiamo in ascolto della parola, la parola stessa, la poesia,ci rivela la morte.
La poesia è misura estrema e perfetta della morte anche quando essa trasuda ironia e felicità.
Se ci richiediamo ora: perché non si legge poesia?
Risponderemo:
perché essa presuppone l?ascolto della propria debolezza
perché essa è relegata alla forma più lontana di ascolto
perché essa presuppone la misura della propria finitezza.
Per qualunque persona di buona volontà che voglia ancora sperare nell?ascolto della poesia suggerirei l?interpretazione di ogni fatto poetico alla luce di questi nostri tentativi di risposta.
Per chiunque sia interessato suggerirei di mettersi all?ascolto della propria debolezza e forse ciò rafforzerebbe quello che gli ingegneri della comunicazione vorrebbero farci passare per interpretazione dei fatti.
Infine suggerirei di dimenticare la preoccupazione della mancata vendita dei libri di poesia e di preoccuparvi di incontrare i poeti. Lo diceva Borges: il libro può essere non indispensabile per la poesia, e aggiungeva, i libri sono cosa morta senza la nostra interpretazione. Solo noi possiamo farli rivivere con il nostro ascolto.
Tutto molto semplice. Ma anche la semplicità quanto la poesia ha bisogno di un contatto. Vi lascio con le parole di Albino Pierro, il poeta che per primo ha rivelato la mia debolezza:
[?]e pìsete cchiù d’u munne
‘a mascra ca mi mitte
cchi nun paré cchiù all’ate na minnìtte.
[?]e pesa più del mondo/la maschera che metto/per non sembrar più agli altri una rovina.
Questa è la parola che non si vende. Ma è anche quella del tempo che non si svende.
Roma, 28.10.2004