La piccola comunità lucana di Maschito deve il proprio nome deriva dal termine latino “masculetum”, che indica una piantagione di viti maschie, della quale il territorio, probabilmente fin dall?antichità era molto ricco. Essa sorse nell?alto bacino del fiume Bradano, dal momento in cui l?antica fortificazione romana preesistente fu abbandonata durante il XIV secolo dagli abitanti autoctoni e ripopolata dalle comunità albanesi a partire dal 1467.

Il fenomeno si verificò nel corso della dominazione di Ferdinando d?Aragona, quando il leggendario Giorgio Castriota Skanderberg inviò delle truppe in Italia, al fine di contrastare gli angioini e i baroni che pretendevano di detenere il potere regale nel sud della penisola italiana. Durante il ?500 il menzionato territorio appartenne alla Mensa vescovile di Venosa e al Priorato del Santo sepolcro dell?Ordine Gerosolimitano di Bari. A partire dal 17 novembre 1539, invece, il suolo di Maschito fu ceduto al signor Don Giovanni de Icis, mediante atto pubblico registrato e firmato dal notaio Giacomo Citamiore di Venosa.

Il nuovo detentore si impegnava, pertanto, a corrispondere 66 ducati annui alla Mensa venosina e 20 ducati all?anno al Priorato barese. Il 26 settembre 1541 il nobiluomo fondava, dunque, il Casato di Maschito, mediante atto pubblico firmato dal notaio Donato Francesco de Judice di Cosenza. La popolazione, in particolare i greci e gli albanesi stanziati sul territorio, a partire da tale momento, dovettero versare nelle casse del signore locale un ducato l?anno per ogni tugurio in cui risiedevano. In seguito il casato divenne uno dei feudi appartenenti ai Carafa di Andria.

Il centro storico di Maschito si caratterizza per il mantenimento pressoché inalterato della pianta originaria e per lo stato eccellente di conservazione degli edifici, in quanto gli impianti sono stati continuamente sottoposti a manutenzione conservativa al fine di custodire il villaggio integro nel corso dei secoli. Gli abitanti hanno saputo, infatti, oltrepassare i consuetudinari problemi logistici connessi ai luoghi più antichi. Ciò è dovuto alla decisione diffusa e condivisa dalla comunità di non abbandonare le ataviche dimore per recarsi in comode periferie, ma hanno preferito, al contrario ristrutturare e rendere moderne le antiche abitazioni. Allo stesso modo le strade non sono ricoperte di monocromo asfalto, ma sono lastricate con bicrome pietre laviche bianche e nere. Analogamente palazzi nobiliari, chiese ed edifici governativi sono stati conservati mantenendo quasi totalmente le funzioni e le architetture originarie.

Tra le pieve maschitiane l?unica andata distrutta è quella di San Nicola. Gli altri edifici sacri, in cui si professa il rito cristiano latino, sono Santa Venere, San Basilisco, San Domenico, del Purgatorio, delle Madonne e di Sant?Elia. Quest?ultimo edificio sorse nel 1698 ed è dedicato al protettore del paesino. La chiesetta è decorata quasi interamente da pitture a stucco di Domenico Pennino. La parrocchia ha un?unica navata e conserva due tele cinquecentesche, attribuibili a Giovanni Battista Caracciolo (1560-1637) oppure ad artisti della scuola napoletana cinquecentesca.

Tra gli altri quadri di pregio artistico e folklorico va menzionato la Madonna dei Sette veli, considerato dalla popolazione miracoloso e dunque molto venerato. Esso fu posto su un antico trono realizzato dallo scultore Egidio Pergola di Cerignola. Altra raffigurazione custodita nell?edificio è la Sacra famiglia del maestro Barberis. La chiesa fu dichiarata inadatta al culto in seguito a un decreto datato 14 novembre 1909, firmato da Monsignor Felice del Sordo, Vescovo di Venosa, in quanto fu considerata perniciosa per la santità dei fedeli e fu chiusa alle comunità religiose. Essa venne restaurata e riaperta al culto soltanto nel 1950.

Tra i palazzi storici bisogna ricordare gli edifici Tufarolo, De Martinis e Manes, oppure gli stabili Adduca, Giura e Cariati, con colonne di tipo dorico. E? necessario menzionare soprattutto casa Soranna, la quale fu costruita nel 1646 e le popolazioni narrano che sia stata la prima dimora edificata dalla comunità albanese residente in Maschito.
Tale comunità mostra il proprio legame plurisecolare alle tradizioni, ai territori, agli edifici, ai riti sacri e profani, in modo da non dimenticare il passato, ma connettendolo al contrario alla vita individuale e collettiva di tutti i giorni, quale segno identificativo e distintivo della propria storia. Una situazione del genere permette a tali gruppi sociali di essere coesi, di possedere un patrimonio di valori sani e accettati, di essere, dunque, in antitesi con la maggior parte della società contemporanea, la quale non di rado mostra lacune e anomalie, imputabili alla perdita di valori condivisi e incorrotti.

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