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La storia di Xhinestra

Ginestra è un piccolo paesino lucano in provincia di Potenza, popolato da circa 800 persone, che hanno preservato l?antico rito, le ataviche tradizioni e la secolare lingua degli antenati albanesi, dopo la coatta fuga dalla natia patria. Sparsi per l?Italia da secoli, hanno dato vita a una comunità speculare rispetto alla madrepatria, la quale potesse salvaguardare il passato, senza dimenticarlo, ma al contrario, applicarlo alla vita quotidiana, come se le barriere spazio-temporali dovessero essere continuamente eluse, in fuga dal progresso, dai cambiamenti, dalla memoria corta, dalla distruzione imposta all?antichità per mano umana.

Il borgo è sorto in cima a una delle verdi colline lucane e si estende lungo le falde dell?imponente Monte Vulture. Gli abitanti conservano ancora in epoca attuale l?antico dialetto e le remote tradizioni, mettendoli in atto concretamente oggi, come secoli addietro, prima e dopo la cacciata dall?Albania. La nitida storia, la quale a tratti si tinge delle tinte fosche della leggenda, narra ai posteri che l?utile signore di Ripacandida e Melfi, Troiano Caracciolo, concedette il territorio di Xhinestra al condottiero locale degli esuli Scuteriani, nominato Francesco Giura (Iura). L?operazione fu eseguita in quanto l?illustre nobiluomo intendeva trasferirsi all?interno dell?area appellata nel gergo locale ?la Lombardia?, situata nel territorio di Ripacandida. Il villaggio fu denominato in un secondo tempo Massa Lombarda e solo in seguito fu chiamato Ginestra. Fino al 1965 il paesino faceva parte del comune di Ripacandida, ma a far data da quel preciso momento assunse una propria autonomia.

I monumenti più importanti di Xhinestra sono risalenti al XVI secolo. La chiesa di Santa Maria di Costantinopoli si presume sia stata costruita nel 1588, così come è desumibile da un?iscrizione impressa sul portale. Un rifacimento dell?edificio, datato 1938, pare ne abbia completamente stravolto la struttura originaria. Vicino l?altare della chiesetta è posto un antico dipinto mariano, che rievoca l?accentuata venerazione del popolo nei confronti della Vergine madre di Gesù, dato che la religiosità, piuttosto accesa è un altro carattere che contraddistingue le popolazioni arbereshe. La parrocchia di San Nicola Vescovo, il patrono della comunità, è un altro monumento di notevole importanza per la collettività ginestrese ed è stata edificata nel lontano 1500. La festa più rilevante si svolge nel corso del mese di agosto, quando l?amministrazione comunale, in collaborazione con la pro loco Zhurian, organizzano la sagra dei piatti tipici locali, accompagnati dal vino di produzione autoctona, conservato in fresche grotte tufacee, e la sfilata di costumi Arbereshe.

Le tradizioni e la lingua sono tramandate in forma orale e sono caratterizzate da un profondo rispetto per gli ospiti, tanto che la dimora albanese è prima di Dio e poi dell?invitato, al quale bisogna offrire vitto, alloggio e ospitalità. La solidarietà è un elemento caratterizzante della cultura autoctona. Gli individui, infatti, nell?intimo più velato sentono di essere legate da vincoli di sangue, quel sangue sparso nella penisola italiana dopo la brutale diaspora. Il mantenimento di tradizioni, lingua e cultura, diviene un collante unificatore degli uomini, i quali non hanno alcuna intenzione di obliare il loro passato e diventare degli anonimi cittadini in terra straniera. L?integrazione dei gruppi albanesi è ormai un dato di fatto da secoli, ma il sentimento di voler perpetuare la diversità, la tipicità e la particolarità è rimasto vivo nei cuori e presente nelle vite delle comunità arbereshe. Tra i valori più rilevanti bisogna porre attenzione al focolare (vatra), ossia il primo perno attorno cui ruota la collettività: la famiglia; il vicinato (gjitonia) che corrisponde all?ambito sociale esterno alla parentela, nonché anello di collegamento di quest?ultima con il corpo sociale; la fratellanza (vellamja) considerabile come il rito della parentela spirituale e la fedeltà agli impegni (besa) cioè il rispetto verso gli altri attuabile mediante il rispetto della parola data.

Tali ideali sono radicati negli animi delle persone appartenenti a comunità arbereshe da secoli, dunque rigogliosi e attuali anche nel corso del presente. La maggior parte degli uomini del neo XXI secolo sembrano, al contrario, essere poco attenti al passato, alle tradizioni, alle culture differenti da quella egemone, al folklore, considerati non di rado come elementi obsoleti, di poco conto, inutili al fine di maturare guadagni economici e materiali. Si dimentica di frequente, pertanto, che la vita epurata dai valori e da un radicato passato non creano dei cittadini accomunati da ideali e obiettivi comuni, ma singoli individui attenti esclusivamente agli interessi particolaristici, minando le basi di una pacifica, fruttuosa e lunga convivenza, basata sul rispetto e sulla solidarietà collettiva.