Dopo l?esperienza di Denti, Gabriele Salvatores torna ad adattare sul grande schermo un piccolo romanzo, scegliendo questa volta il testo omonimo di Niccolò Ammaniti e torna dopo Nirvana e Amnesia, anche ad uno stile registico più lineare e classico.

Siamo nel 1978 l?Italia dei sequestri di persona, Michele 9 anni, giocando con la sorella e degli amici scopre un buco dentro il quale è nascosto un bambino sporco e denutrito. Dalle riunioni degli abitanti del villaggio che si tengono frequentemente in casa sua e dalla presenza in casa di un inquieto uomo del Nord (Diego Abatantuono), amico del padre, Michele capirà chi sono i carcerieri del coetaneo e incomincerà a nutrire e a tenere compagnia al prigioniero, fino a contribuire alla sua fuga e salvezza.

Salvatores gira il film interamente dal punto di vista del piccolo Michele, insieme a lui scopriamo il piccolo sequestrato, con le sue orecchie e con i suoi occhi ci avviciniamo alla scoperta dei carcerieri, attraverso il suo origliare alle porte dei genitori, l?osservare di nascosto le riunioni che si tenevano nella sua casa. Sarà sempre Michele a consentire prima la fuga e poi la definitiva salvezza sostituendosi del tutto all?ormai amico rapito, tanto da essere colpito da un colpo di pistola alla gamba al posto suo. Un film costruito attraverso l?assenza del mondo degli adulti, a parlare per loro è la seconda generazione, i figli, che si sostituiscono al marcio dei propri padri. Poco si sente, quanto poco si vede il padre di Michele, tornato questa volta a casa ma non per stare col figlio; poco si vedono anche i genitori del bambino rapito, facoltosa famiglia del Nord, tanto da far maturare nel prigioniero l?idea che si siano dimenticati di lui.

Il rapporto tra i due bambini inizialmente sembra costruito su un capovolgimento rivoluzionario dei ruoli sociali: Michele, bimbo pulito e ordinato, libero, anche se povero che guarda dall?alto Filippo, sporco, irriconoscibile, denutrito sprofondato nell?abisso di una fossa da cui non può uscire, fino alla avvenuta conoscenza e amicizia dei due bambini che diventano l?uno lo specchio dell?altro: stessa età, stessa classe.

A dare un tocco fiabesco al film è l?ambientazione, siamo al Nord della Basilicata al confine con la Puglia, in un minuscolo paese delle Murge, vicino Melfi, con quattro abitazioni situate una di fronte l?altra e tutt?intorno colline ricoperte di grano dorato. La zona del Murge appare luminosissima, grazie ai riflessi del grano, grazie agli infiniti spazi e ad un cielo sempre visibile sopra le teste, ma anche grazie alla fotografia sovraesposta di Italo Pietriccione. Territorio completamente differente da quello adatto ad un rapimento, abituati a pensare ai sequestri avvenuti in Sardegna, o nelle impraticabili zone dell?Aspromonte, quello offerto da Salvatores ci sembra inadatto per un sequestro, tanto che il nascondiglio verrà ricavato in un buco scavato nella terra e i carcerieri verranno tutti individuati dall?alto di un elicottero, a cui non si può sfuggire perché si è visibili in ogni punto. L?happy end non è altro che il punto in cui tutti i personaggi vengono allo scoperto, Filippo definitivamente risalito dal buco, il padre di Michele e i complici del rapimento che scoprono il ruolo fondamentale che proprio Michele ha avuto per la loro cattura e per la liberazione del piccolo, gli elicotteri scesi dall?alto a sgominare e arrestare la banda.

Tutto il dolore del padre di Michele viene anch?esso allo scoperto nel finale, nel momento in cui vede il figlio ferito dal colpo di pistola alla gamba, proprio quel proiettile che lui stesso stava per destinare al piccolo Filippo. Michele si trasforma di nuovo in eroe salvando anche il padre dal commettere un omicidio.

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