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Lettera al parroco di Castelsaraceno

Caro Don Mario, innanzitutto voglio ringraziarTi per averci onorato della tua attenzione, nel corso della consueta messa domenicale. Come ho avuto modo di dirTi, durante la nostra conversazione telefonica, mi sento certo più vicino a coloro che hanno il coraggio delle proprie idee, che non agli ignavi e ai tanti che in queste ore preferiscono fare i pesci in barile.

Credo che di certo ci unisca la comune esigenza di comunicare al nostro vicino ciò che pensiamo. Noi, a dire il vero, vorremmo anche poter utilizzare i tanti contenitori televisivi da cui siamo troppo spesso esclusi, ma purtroppo, in questo nostro Paese, anche ad un organo costituzionale qual è un Comitato referendario, viene regolarmente negata la possibilità di comunicare. Siamo di fronte all?ennesimo attentato ai diritti civili e politici degli italiani; al reiterarsi dell?impossibilità, per tanti, di conoscere per deliberare, dunque all?ennesima mortale ferita inferta alla democrazia. Questo problema, consentimelo, non sembra appartenere agli uomini della Santa Sede, che, viva dio, in televisione ci abitano e ci vanno spesso e volentieri; ma, perbacco, tutto sommato si tratta pur sempre dei plenipotenziari di uno Stato con tanto di rappresentante alle Nazioni Unite.

Spero, nelle prossime ore, di poterTi onorare di una pubblica risposta, da un pulpito forse profano, ma che alimenta, o dovrebbe alimentare, la ritualità della Democrazia.

Spero di poter incontrare Te e i tanti cittadini di Castelsaraceno, che in queste ore, grazie alla mobilitazione del Sindaco e di una numerosa pattuglia di Consiglieri comunali, hanno dato forza alla ragionevolezza delle nostre proposte; hanno dato corpo e vita alla speranza di poter garantire a questo nostro Paese una primavera referendaria su temi quali la libertà di ricerca, di cura, di scelta.

Mi auguro che vorrai venire ad ascoltare quello che ho da dire sulla vita e sulla morte, su ciò che è vita e su ciò che è morte.

Non mi sento davvero di definire una scelta di vita la decisione presa dal nostro Parlamento, che impedisce e impedirà di poter fare ricerca su 27000 embrioni sovrannumerari. Embrioni che inevitabilmente saranno destinati alla spazzatura. Davvero strano, in nome della difesa di una vita presunta, si nega speranza di vita, di cura, di una vita altra a milioni di malati. In questo Paese, tutto sembra essere vita: l?embrione, magari lo spermatozoo, ma non la vita vera dei tanti uomini e delle tante donne che nutrono la speranza di poter guarire, magari di poter camminare, di poter tornare a parlare e a sorridere, a correre ed urlare, grazie ai ?miracoli? della scienza.

Dal Professor Veronesi a Dulbecco, da Margherita Hack ai 2400 scienziati e ricercatori firmatari di un appello promosso dall?Associazione Coscioni, è tutto un fiorire di prese di posizione contro una legge che sembra essere stata concepita in uno di quegli stati in cui vige la sharia.

No, non credo che si possa accettare che la legittima visione della vita, l?etica di una parte maggioritaria o minoritaria(in questo caso certamente minoritaria) non importa, venga imposta a tutti. Io non posso accettare che lo Stato rinunci alla sua laicità, per indottrinare i suoi cittadini.

Perché, mi chiedo, negare a chi ha gravi problemi di sterilità la possibilità di provare le gioie della maternità. L?Italia che si è battuta per affermare il diritto al divorzio è ancora viva e anche questa volta, se ne avrà la possibilità, che è vincolata alla conoscenza e al rispetto delle regole, spazzerà via l?oscurantismo rappresentato dalla legge sulla ?Procreazione Medicalmente Assistita?.

Caro Don Mario, se, come spero, avrò modo di dire questo ed altro dal democratico pulpito allestito a Castelsaraceno, mi auguro di trovarTi in prima fila ad ascoltare.

La mia religione si chiama libertà e di fronte ad essa non sono disposto ad arretrare nemmeno di un millimetro: sono in ballo cose troppo grandi, troppo serie, per non scegliere di mettersi in gioco.

Con affetto e a presto