A mali estremi, estremi rimedi, enunciava un vecchio detto. Colto nel segno, l’antico proverbio è stato saggiamente messo in pratica dai lavoratori dello stabilimento lucano della Parmalat di Atella che si sono recati a Roma per consegnare una lettera al presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi.

La lettera è servita per chiedere un intervento del governo sugli aspetti industriali della crisi Parmalat e sperare così in nuove soluzioni per salvare la produzione di Atella. Si è trattato di un cambio di programma, inizialmente i lavoratori di Atella avevano pensato di distribuire materiale informativo e merendine della Mister Day prodotte nello stabilimento lucano durante la consueta manifestazione del Primo Maggio a Roma. La consegna della lettera e la distribuzione dei prodotti da forno invece è avvenuta giovedì 29 aprile, giornata particolare per l’Italia, giornata particolare per Roma che ha accolto per le sue strade un’altra importante manifestazione organizzata dai famigliari degli ostaggi in Iraq.

E’ un periodo di sofferenza per i lavoratori lucani, forte è stata anche la contestazione degli operai dello stabilimento della Fiat di Melfi la scorsa settimana. La motivazioni sono semplici seppure difficili da accettare.
La Basilicata è in continua lotta per sopravvivere di fronte a una condizione lavorativa a dir poco vergognosa. La Lucania terra dei lupi e dei briganti è anche terra dei disoccupati. Un dato su tutti: circa il 42% della popolazione con un età media 35 anni si dichiara disoccupato.

La situazione di Atella non è la prima ne sarà l’ultima storia in cui lavoratori seri si vedono da un giorno all’altro costretti a mobilità forzata. Per questo motivi circa 100 lavoratori come già descritto all’inizio, si sono recati a Palazzo Chigi e alle 10.30 di mattina due delegati della Rsu, accompagnati da parlamentari lucani del centrosinistra, hanno consegnato una lettera per il presidente del consiglio Berlusconi. A sostenere i lavoratori sono stati i senatori Piero Di Siena e Vito Gruosso (Ds) e i deputati Mario Lettieri e Tonio Boccia (Margherita).

Nel frattempo – ha dichiarato Carmela Caldararo, componente della Rsu – i lavoratori dell’azienda hanno costituito un presidio a Piazza Colonna, in attesa della consegna della missiva e dell’incontro con il segretario nazionale della Flai-Cgil. Bondi informi il parlamento sul destino del gruppo! Queste le esigenze dei lavoratori, questo è ciò che le agenzie di stampa annunciano dall’inizio dell’incontro. Su quest’area esercitano la loro influenza non solo l’andamento generale della riorganizzazione dell’industria dell’auto in Italia ma anche le ricadute della crisi della grande multinazionale italiana dell’agro – alimentare, questo comprensorio industriale si trova cioè a impattare con problemi generale di riorganizzazione dell’industria italiana e i lavoratori degli stabilimenti lucani vogliono su questo far sentire il loro peso.

I prodotti da forno, infatti sembravano inizialmente esclusi dal piano di riordino aziendale a cui lavora Bondi. Questa è una delle preoccupazioni più grandi che lo stabilimento lucano ha dovuto affrontare. Nei giorni passati anche il presidente della regione Filippo Bubbico è intervenuto con una lettera inviata al commissario straordinario Enrico Bondi e al ministro delle attività produttive Antonio Marzano, prima della presentazione ufficiale del piano di ristrutturazione della Parmalat. Lo stabilimento di Atella conta circa 160 dipendenti e una settantina di stagionali, i quali producono prodotti da forno con il marchio “Mister Day”. L’azienda Parmalat vanta molte realtà produttive dislocate in tutt’Italia, dall’Emilia Romagna alla Sicilia, dalla Lombardia alla Basilicata e ancora Piemonte, Friuli, Veneto, Campania, Lazio, Liguria. In tutto venti stabilimenti in dieci regioni e 4.000 dipendenti.

La disoccupazione è peso assai grave in una realtà regionale come la nostra, in un periodo dove fatti di costume ci hanno resi più noti a realtà sociali anche esterne all’Italia. Ci troviamo purtroppo a convivere con un male collettivo condizionato purtroppo da un sistema economico centralizzato dove le sorti di uno spesso condizionano quelle di molti.

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