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Donne oltre il ritratto

Chi si nasconde dietro il volto dei ritratti più belli e affascinanti della pittura contemporanea? Solitamente donne, figure anonime dal fascino ipnotico. Ma furono solo fortunate muse con l?aspirazione della modella? Tutt?altro! E se la storia le ha relegate a semplici oggetto da ritrarre, un coraggioso libro, Prestami il volto di Valeria Palumbo, restituisce loro il valore di artiste e intellettuali. Attraverso queste dieci storie conosciamo donne rivoluzionare, sprezzanti delle convenzioni e dei pregiudizi. Teresa Mengs ed Elizabeth Siddal, Alma Malher, Rosa Bonhheur, Marianne von Werefkin?: nomi che, per essere identificati, hanno bisogno d?essere ricollegati a quello dei loro compagni. Eppure, alla fine di questo libro, molte prospettive sembrano diverse, avanza un nuovo punto di vista che forse ci obbliga a rivedere molte convinzioni. Magari anche quel famoso adagio che dovrebbe fare più o meno così: davanti ad una grande donna?c?è sempre un uomo!

Qual è stata la prima tra le storie che ha scelto di raccontare?
Sono partita da Emilie Floege e Gustav Klimt. Ma non è esattamente dalla loro coppia che è partita l?idea del libro. L?idea è nata quasi per caso: mi chiesero di scrivere, per Anna (settimanale femminile ndr.), un pezzo sulle muse dei grandi pittori e ben presto mi accorsi che, in molti casi, si trattava di ben più che semplici muse. Nel pezzo apparivano altri casi che poi ho tralasciato come quello di Bella, la sposa ritratta spesso in volo da Chagall, o Ada Alice, in arte Dorothy Dene, l?attrice-prostituta che compare in uno dei più bei quadri vittoriani, Flaming June, di Lord Leighton. Ada Alice, per esempio, mi aveva incuriosito perché Lord Leighton si vergognò sempre di lei. Mi era sembrato orribile: in fondo era una ragazza che tentava di uscire dalla miseria, che allevava le sue sorelle più piccole, che voleva lavorare e che gli rimase sempre accanto, nell?ombra. Ma poi le storie ti portano lontano: ognuna me ne faceva scoprire un?altra. Alla fine del gruppo iniziale ne sono rimaste poche, tra cui appunto, Floege e Klimt. Lei mi è piaciuta subito perché era un?imprenditrice. E perché non volle mai sposarsi. La sua è una vita di incredibile coerenza.

Apparentemente sembra che queste donne siano in ombra a causa dei propri compagni. Lei che ne pensa, non è che in realtà anche in questi casi così estremi siano state le donne a decidere?
Non è solo all?apparenza che sono state in ombra: la storia, la tradizione, i pregiudizi che esse stesse condividevano le spingevano nell?angolo e impedivano loro di sentirsi protagoniste. No, non ci vedo mai una decisione. Piuttosto in molti casi, come appunto in quelli di Marianne von Werefkin e Gabriele Muenter c?è stata una lenta presa di coscienza. All?inizio non avevano alcuna fiducia nel loro genio, alla fine erano arrabbiate di essere state emarginate perché donne. Ognuna comunque ha la sua storia: Alma Mahler si fece sempre da parte ma quasi intuendo che più che talento per l?arte lei aveva un altro straordinario talento: quello di far innamorare i maggiori geni del suo tempo. Non mi sembrerebbe da buttar via? C?è però un altro elemento: nell?angolo, spesso, le ha messe la storiografia: Tersa von Maron non si sentiva affatto artista inferiore al marito e al fratello e lo stesso valeva ovviamente per la sua grande coetanea, Angelika von Kaufmann. Beatrice Hastings non aveva forse idea di quale successo avrebbe avuto Modigliani: l?artista morto di fame che accolse in casa era anche un ?cucciolo? da introdurre alla cultura filosofica e psicologica. Cosa che lei appunto fece. In conclusione, credo si siano sommati i pregiudizi sociali alle censure misogine della storiografia successiva. In questo periodo mi sto occupando di donne romane (è appena uscito Lo sguardo di Matidia, sulla suocera di Adriano). Beh, quello che mi ha colpito è quanto le donne romane abbiano avuto a soffrire dagli storici successivi alla loro morte (e ai durissimi pregiudizi dei critici cristiani), molto più che dai loro coetanei.

Dalle storie che lei racconta non trapela una reale o possibile solidarietà femminile, sia come artiste che come donne. E? d?accordo, che ne pensa?
Sono d?accordo. Non vorrei ripetermi, ma se ho appunto raccontato la storia di Matidia perché è la storia della sua straordinaria alleanza con la moglie di Traiano, Plotina, che portò Adriano sul trono, affermando una specie di dinastia che passava attraverso le donne. Però non posso affermare altrettanto per le donne nel mondo artistico. Nel loro caso, quando erano esse stesse pittrici, si aggiungeva la tipica rivalità tra artisti. Penso a Bethe Morisot e Eva Gonzales, che si odiarono a causa di Manet. Ma forse anche per motivi professionali. Lo stesso accadde fra Marianne von Werefkin e Gabriele Muenter: la von Werefkin disprezzava la sua giovane concorrente. D?altra parte non sono mancati clamorosi esempi di amicizia al femminile, per esempio nel corso del nostro Risorgimento: me ne sto occupando per il mio prossimo libro. Questa volta parlerò di pittrici e violenza: bene, quando si tratta di combattere davvero, le donne sanno unirsi. Per il resto, ahimè, non solo procedono in ordine sparso, ma ostacolandosi.

Come definirebbe questi particolari rapporti di coppia, dipendenza, morbosità o semplicemente relazione tesa all?estrema condizione?
Come definirebbe lei in generale i rapporti tra uomo e donna? Ne conosce di ?tranquilli?? Voglio dire quando le donne dispongono di se stesse (e tutte queste donne, a differenza di gran parte delle loro coetanee ne disponevano) allora si battono ad armi pari. E il rapporto risulta inevitabilmente più tormentato. Hanno subito molto, hanno sofferto molto (quasi nessuno di questi uomini era monogamo), hanno soprattutto amato molto. Ma mi permetterei di dire che quasi nessuna si è lasciata schiacciare. Il che, per l?epoca in cui hanno vissuto, non è da poco.

Le sembrano patologie?
No, mi sembra che l?ambiente artistico tenda sempre a caricare il pathos. In verità le storie più estreme, come quelle di Hastings e Modigliani e di Siddal e Rossetti, si sono svolte in ambienti dove tutto era teso all?estremo.

Lei pensa che il mondo dell?arte sia una prerogativa per queste relazioni al limite?
Sì, credo che fossero amori estremi perché l?ambiente intellettuale (non solo l?arte figurativa, provi a immaginare che accadeva fra scrittori!) esasperava i sentimenti. E? un dato culturale: il romanticismo ha avuto una coda lunga ed estrema nel ?900 quando alle donne è stato permesso di giocare più liberamente il loro ruolo. Metta poi che l?abuso di alcol e droghe faceva la sua parte, ma non ne esagererei l?effetto. Credo piuttosto il contrario: l?abuso di alcol era il risultato del desiderio di provare esperienze estreme.

Esiste una figura femminile a cui fa spesso riferimento? Ci racconta i tratti che crede le somiglino?
Non ci crederà ma in fondo il personaggio in cui mi riconoscerei di più è Teresa von Maron: sono ormai estranea al fascino dell?autodistruzione romantica e mi piacciono le donne che fanno con serenità il loro percorso. Teresa è stata accademica e pittrice di corte, si è sposata tardi, quando ha voluto, ha guadagnato bene, pensiamo che sia morta serena e soddisfatta. Non le nascondo che mi diverte molto anche Carolina Zucchi, la litografa di ottima famiglia milanese che si diverte a farsi ritrarre in pose da kamasutra dal suo amante. Devono averne riso come pazzi. Insomma preferisco il sorriso, magari malinconico, ma sereno, allo strazio. Per questo, mi scusi se torno ancora al nuovo libro, ho amato tanto Matidia: una solida matrona che tesse le trame del potere da dietro le quinte, muore anziana, soddisfatta e potente. Ovvero: mi piacciono le donne che si godono senza complessi amori, conquiste e poteri.

Spesso alla fine di ogni storia resta un po? di tristezza, lei crede siano state felici queste donne?
In linea di massima no e me lo sono chiesta spesso anch?io. Però mi permetto anche di credere che nemmeno i loro compagni siano stati spesso felici. Lo è stato Hayez e abbiamo visto che lo fu, molto probabilmente, anche Carolina Zucchi. Credo però che godettero di ciò che le loro coetanee chiuse in casa non ebbero mai: la felicità di vedere il loro lavoro completato. Le artiste con i loro dipinti, le imprenditrici come Emilie Floege con i meravigliosi abiti del suo atelier.

Per par condicio, può raccontarci la storia di un uomo in ombra a causa della compagna?
Ce ne sono stati diversi: il marito di Tamara de Lempicka, tadeusz, che alla fine fuggì e di cui ci rimane un ritratto (fatto da lei) non compiuto. Ma molto prima Antonio Zucchi si fece abbastanza da parte per permettere alla moglie, la straordinaria Angelica Kaufmann di brillare.

C?è qualche aneddoto bizzarro in cui si è imbattuta?
Molti, ma di sicuro il più affascinante (sembra uscire da un libro di Gabriel garcia Marquez) è l?apertura della bara di Elizabeth Siddal: a dieci anni dalla morte il marito voleva recuperare il manoscritto di poesie d?amore che le aveva dedicato. Era l?unico esemplare e lui l?aveva gettato nella bara al momento della chiusura. Diede il permesso di aprire la bara ma all?ultimo momento restò a casa a ubriacarsi. A chi l?aprì apparve una donna intatta, bellissima come nell?Ofelia di Millais per cui aveva posato e i cui capelli rossi erano cresciuti a dismisura: vere fiamme che uscivano dal sepolcro?


Valeria Palumbo: Prestami il volto. Donne oltre il ritratto.
Milano, Selene, 2003. isbn: 888626772X. Collana: L?altra metà dell?arte