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Balie italiane e colf straniere

Lagonegro – L? ISIS ?Francesco De Sarlo? di Lagonegro (PZ) ha ospitato per una settimana un?interessante mostra sull?immigrazione femminile, dal titolo ?Balie italiane e colf straniere?. L?Associazione culturale ?Perla del Tirreno?, con sede a Diamante (CS) e presieduta da Stella Fabiani, l?ha gentilmente concessa alla scuola, ritenendola un valido strumento didattico alternativo, efficace, portatore di un messaggio di tolleranza antirazzista. Si tratta di trenta cartelloni, in cui sono tracciati i due aspetti del fenomeno migratorio (immigrazione ed emigrazione) negli ultimi cento anni, in tutti i suoi aspetti: i matrimoni misti, la scolarizzazione e i conflitti tra culture, l?emigrazione politica, la salute e la malattia, il rapporto con la religione, il tempo libero, l?emancipazione. La mostra, ideata da Ada Lonni dell?Università di Torino e Mara Tognetti Bordogna dell?università di Milano, va a fare un po? di chiarezza su un argomento non ancora adeguatamente studiato. In effetti, se il fenomeno non è abbastanza emerso lo si deve al fatto che , nonostante la componente dei flussi migratori in Italia sia stata e rimanga notevole, gli studi di genere rimangono poco sviluppati, benché siano molte le analisi realizzate sulla specificità locale. Mancavano sinora studi complessivi del fenomeno.

In passato furono le italiane e, tra queste, numerose, le calabresi, ad emigrare trovando lavoro come balie in Francia o in Egitto. Oggi, evidentemente, la tendenza si è invertita e il nostro Paese è divenuto terra di immigrazione, anche femminile: nei decenni passati le filippine o le latinoamericane, oggi in prevalenza donne dell?Est europeo svolgono anche nelle nostre zone l?attività di domestiche o badanti.

A questo riguardo, risulta degno di attenzione lo studio realizzato dalla sociologa campana, Elena De Filippo, ricercatrice presso la Federico II di Napoli, sulla componente femminile dell?immigrazione. Il protagonista delle migrazioni internazionali degli anni ?50 e ?60, come risulta dall?indagine, era senza dubbio l?uomo. Le donne solitamente rimanevano nel paese d?origine ad accudire ai figli, agli anziani, ad occuparsi di forme di agricoltura di sussistenza. Se c?era esperienza migratoria, questa avveniva alle dipendenze o per ricongiungimento.

Nelle recenti migrazioni la componente femminile, invece, presenta una centralità e una visibilità sociale sconosciute prima. Oggi la presenza di forza lavoro femminile extracomunitaria non viene più letta come forma di affermazione del benessere economico e sociale delle famiglie borghesi, dal momento che i servizi sono rivolti ad anziani, bambini o persone in difficoltà, presso ceti diversi.
Tra le classi dell?Istituto che hanno visitato la mostra, in particolare, la III A del Liceo socio-psico-pedagogico, guidata dalla docente di Pedagogia, Anna Aversa, ha approfondito l?argomento con un lavoro di ricerca, da cui è emerso, soprattutto, il legame forte che con il tempo si è creato tra l?immigrazione e il processo di emancipazione femminile: in una condizione di invisibilità (domestica, sul luogo di lavoro o nelle normative amministrative); in uno status subito di ?vedove bianche? (storie d?amore e di solitudini, di gelosie e affetti spezzati) le donne immigrate hanno condotto agli inizi una vita difficile tra fedeltà e nascite illegittime, con la consapevolezza, spesso, della bigamia dei propri mariti. Con il tempo il loro ruolo in famiglia, nella società è diventato visibile oltre che necessario.

Il lavoro extracomunitario femminile, infatti, in Italia supplisce, soprattutto nel nostro Meridione, le carenze del welfare; la carenza per gli immigrati si intreccia, inoltre, con una generale assenza di servizi sociali diretti a tutti i cittadini; non solo, molte volte nelle realtà locali manca un?adeguata politica migratoria.
La mostra, quindi, fa emergere nella sua complessità un fenomeno nuovo, indagato fino ad oggi solo con indagini parziali. E, poi, fa sperare che le istituzioni, a tutti i livelli, prendano coscienza dell?esistenza del problema, a cominciare dalle scuole, perché la società di adozione ha il dovere di rispondere e interagire.