La storia. Il castello Tramontano si erge sulla collina del Lapillo, subito dietro via Lucana, tra via Castello e via Lanera. Il maniero deve il suo nome a Giancarlo Tramontano, già Maestro della Regia Zecca aragonese, nativo di Sant’Anastasia ed esponente di quella «borghesia loricata» che nel Mezzogiorno, fra XV e XVI secolo, si stava amalgamando con la vecchia classe feudo-militare. Su concessione di re Ferdinando II, il 1° ottobre del 1497 l’ex funzionario regio divenne conte di Matera.
Per sostituire le precedenti fortificazioni demaniali il conte concepì un nuovo castello che avrebbe svolto funzioni difensive (non a caso è situato sul lato più esposto della città), residenziali e politiche: bisognava infatti marcare visivamente il cambio di regime, per una città che, da demanio, si era ritrovata contea. Le suggestioni promananti dalla splendente corte di Napoli indussero il committente a programmare le cose in grande stile: la sontuosa reggia del Maschio Angioino, rinnovata sotto la direzione di Guillén Sagrera fra il 1443 e il 1458 per ordine di Alfonso d’Aragona, aveva innestato l’elegante gotico della Catalogna sulle originarie fattezze di impronta angioina, delineate nel 1279 da Pierre d’Angicourt e Pierre de Chaule. Fu dunque con l’occhio rivolto alla capitale che venne progettato il castello di Matera, «ad modo del Castelnuovo di Napoli, anzi più superbo», come racconta il Verricelli nella sua Cronaca.
Inseguendo i fasti regali e la grandeur partenopea venne innalzata una buona porzione del fortilizio lucano, attraverso lo sfruttamento di uomini e donne che ricevevano la misera paga di sei soldi al giorno. I lavori costarono circa 25.000 ducati, per lo più gravanti sulle spalle della cittadinanza. Era troppo: l’esasperazione causata dagli odiosi tributi portò a ordire una congiura. Il 30 dicembre del 1515, all’uscita dalla chiesa Matrice, Gian Carlo Tramontano venne inseguito, accerchiato e ucciso dai materani, che non sopportavano più le sue angherie.
La morale di questo episodio si può leggere nel motto sullo stemma cittadino, che recita “Bos lassus firmius figit pedem”, letteralmente “il bue stanco affonda la zampa più fermamente” a significare la carica di violenza che può manifestarsi in un popolo pacifico, ma stanco di vessazioni. Il castello non fu mai completato, e rimase a metà, quasi a monito per nuovi signorotti prepotenti e ambiziosi e a memoria della violenta sommossa popolare, ricordata ancor oggi da via del Riscatto.
La struttura. Il castello di Matera è composto da un paio di torri laterali di forma circolare, dotate di scarpatura e inframmezzate da un più imponente torrione cilindrico, che si eleva sui setti murari di collegamento. Le sue tre torri, sono parte di una cinta muraria che avrebbe dovuto comprendere forse dodici torri di difesa. Una di queste è stata rinvenuta per caso durante alcuni scavi in Piazza Vittorio Veneto, ed oggi è visitabile nel percorso ipogeo della piazza. Sono ancora visibili il fossato e l’imbocco del ponte levatoio.
Benché incompiuto, l’edificio appartiene a una tipologia caratteristica dell?architettura castellana tardo-medievale. Alla fine del XV secolo, la preponderanza delle bombarde e in genere delle armi da fuoco aveva apportato dei sostanziali mutamenti agli impianti castellari. Per resistere ai proiettili dei cannoni avversari, come anche per assorbire il rinculo dei pezzi difensivi e favorirne gli spostamenti, non servivano più le torri mastodontiche e quadrate, o le mura alte e le merlature spiccate, che anzi offrivano un bersaglio più agevole alle cannonate.
Era piuttosto necessario ridurre lo specchio murario, ispessire le fabbriche, conferire un’altezza uniforme alle diverse parti della fortificazione e accentuarne la scarpatura, apprestando dei rinforzi cilindrici casamattati, più bassi e grossi del solito. L?uso delle «rondelle» tondeggianti o delle torri profilate «a mandorla» diminuiva in effetti le superfici rettilinee dei castelli, che quindi potevano schivare meglio le palle in pietra o in ferro sparate dalle artiglierie nemiche. Sul prototipo della Rocca Pia di Tivoli, databile al 1461, nasceva un?architettura di transito verso il successivo fronte bastionato. Proprio ai modelli costruttivi che nella seconda metà del Quattrocento avevano avuto in Francesco di Giorgio Martini uno dei massimi architetti si ispirava il castello «Tramontano», ideato nel miraggio di Castelnuovo.
Ma i sogni del conte Gian Carlo vennero spezzati e spazzati via dalla rivolta dei materani. I quali, evidentemente, hanno sempre tollerato male i soprusi, se è vero che, nel 1860, Matera fu la prima città della Penisola a insorgere contro i Borboni, proclamando l’Unità d’Italia.