Barbara Burganza affascinata dalla cultura giapponese e da Banana Yoshimoto si affaccia in questo mondo esotico attraverso la porta centrale o almeno quella più appetitosa: l?arte culinaria. Passa in rassegna piccole curiosità come il divieto di usare coltelli a tavola, la prevalenza del pesce sulla carne, la disposizione dei cibi nel piatto, la mancanza di manipolazione di proteine, l?uso dei bastoncini. E allora, a mano a mano si scopre che, nella ?Kitchen? della Yoshimoto, il mangiare è un momento sociale; assieme alle salse, alle radici e ai semi, si mescola affetto, paura, felicità…Si cucina per le persone che si amano, si sceglie con cura tutto quanto possa aiutarli a stare bene.

?In cucina con Banana Yoshimoto? (Il Leone Verde Edizioni, ? 9,00) è dunque il racconto di una cultura vicina e lontana, nota per gli occhi a mandorla e gli aggeggi di micro- elettronica ma è anche e soprattutto la terra delle tradizioni millenarie che legano generazioni di tutti tempi.

Perché proprio Banana Y. e la cultura giapponese? Cosa avete in comune?
Probabilmente nulla. La Yoshimoto ha avuto una preparazione culturale e un percorso di vita molto diverso dal mio, tuttavia è stata proprio questa visione così diametralmente opposta delle cose della vita che ha attirato la mia attenzione su questa giovane scrittrice giapponese. Nei suoi romanzi parla spesso di dolore e morte, di malesseri legati alla crescita e soprattutto della disgregazione della famiglia. Temi forti e difficili. Ciò che mi ha colpito è stata proprio la limpidezza e l?innocenza dei suoi personaggi che affrontavano drammi familiari e sentimentali con la pacatezza e la dolcezza che solo i bambini sanno avere. Con questo non voglio dire che la Y. sia infantile ma, al contrario, che sappia scomporre i nodi dei problemi con una purezza e una semplicità di cuore che forse tutti dovremmo avere. Quasi un insegnamento zen. Nonostante il suo dichiarato anticonformismo, infatti, vi sono molti elementi che la legano alla cultura giapponese tradizionale: il gioco dei ruoli, la spiritualità vissuta nel quotidiano, il rapporto con i defunti, la cerimonia del tè… Molti pensano che i giapponesi siano persone con troppo autocontrollo e un tantino freddi. La Y. scrittrice non lo è affatto: mi capita ancora di dovermi asciugare le lacrime (e non solo per commozione!) alla terza o quarta volta che rileggo un suo romanzo…

La cultura giapponese viene considerata ?semplicità complessa?, vale anche per la cucina? In quali casi?
Direi di si. Dal punto di vista estetico un piatto giapponese appare così equilibrato negli accostamenti dei colori e nelle forme che ci risulta impossibile immaginare quale tipo di preparazione ci sia alle spalle. In effetti, prendiamo ad esempio il sashimi, qualcuno potrebbe dire che non ci vuole molto a servire del pesce crudo. E? semplice. Invece no, è molto complesso. Per diventare sushiman perfetti ci vogliono più di dieci anni di studi e duro lavoro. Perché bisogna utilizzare solo i tagli riusciti alla perfezione, abbinarli secondo il colore e il gusto e saper dosare le salse. Non è così semplice rendere appetibile il pesce crudo.

Cosa prepareresti per una persona speciale?
Un buon piatto di sushi misto, cioè un po? di quello arrotolato che piace a tutti con il riso, l?alga nori e un velo di wasabi, poi quello pressato a mano, il nigiri sushi, che è difficile da confezionare ma è una vera sinfonia di sapori, e accompagnerei il tutto con del tè verde fumante, zenzero in scaglie e salsa di soia. E poi non deve mancare una ciotola di brodo dolce con funghi shiitake…

Hai un ricordo particolare legato ad una ricetta o a un ingrediente?
Si, la pastella del tenpura. Quando andai a trovare Ichikawa Haruo, sushiman del ristorante Origami di Milano, per la supervisione delle ricette del mio libro, lui non si accontentò di mostrarmi come miscelare dosi e ingredienti. Fino a quel momento in effetti avevamo collaborato in modo molto intellettuale, la temperatura dell?olio deve essere tot, il taglio si fa così, l?acqua deve essere ghiacciata: ad un certo punto però mi disse di posare la penna e immergere le dita nella pastella. Cosa? feci io. E lui mi porse la ciotola e mi fece il gesto di pucciare? lo trovai divertente ma anche molto saggio. Ed è anche servito!

Modalità di preparazione: un tuo piccolo rito in cucina?
Quando cucino mi piace mettere in sottofondo un buon cd e illuminare perfettamente l?area lavoro. In inverno accendo anche un paio di candele profumate perché mi aiutano a rilassarmi. E se sono tranquilla mi vengono idee migliori. Poi dispongo le verdure fresche, gli odori, il pesce o la carne, lo zenzero fresco, le pentole che ho intenzione di usare e lascio che questi elementi, visivamente, mi suggeriscano cosa preparare. Il più delle volte cucino piatti unici. Quando invece ho voglia di sapori esotici mi piace cercare le ricette, preferisco non improvvisare con ingredienti che non mi sono familiari. Con lo zenzero è stato un vero colpo di fulmine. All?inizio delle mie ricerche non lo conoscevo se non come polvere per biscotti. Adesso lo metto quasi ovunque, anche nei piatti mediterranei.

La consumazione del cibo è un rito in positivo e in negativo, spesso con significati diversi nelle varie culture: cosa non va assolutamente fatto a tavola durante un pasto giapponese e perché?
Una delle cose che ho imparato a non fare in presenza di giapponesi è gesticolare con le bacchette o infilzare con esse il cibo. E? quasi un atto offensivo, i giapponesi sono molto più comprensivi con chi non le sa usare affatto. Questo perché i bocconcini sono delle vere e proprie opere d?arte e infilzarle sarebbe come deturparle. Anche servirsi direttamente dalla ciotola comune e mettere il cibo in bocca è considerato un atto di grande maleducazione: io ad esempio l?ho notato fare in molti film americani. No, bisogna prelevare dalla ciotola comune e mettere nel piattino personale e quindi si mette in bocca. Un?ultima cosa: mai usare il cucchiaio per bere il brodo, ma portare la ciotola direttamente alle labbra, come fanno loro (in caso di indecisione osservare le persone ai tavoli accanto!) anche perché il cucchiaio in Giappone serve solo per versare le salse ed è quindi comune a tutti i commensali.

I ristoranti cosiddetti etnici, sparsi per la penisola, quanto sono italiani?e le ricette? Cosa ad esempio viene sostituito come ingrediente perché più vicino alla cultura gastronomica italiana?
Io posso parlare per la realtà che conosco, cioè quella milanese, perché quando viaggio preferisco assaggiare le specialità del luogo, cogliere il genio locale. Non andrei mai in un ristorante thailandese in Sardegna, ad esempio. Dicevo che il livello qualitativo in certi casi è altissimo, ma è anche vero che in molti casi il ristoratore preferisce andare incontro ai gusti del popolo italiano per ?aiutarlo? a gustare il suo cibo e francamente è una cosa che condivido. Il cibo è principalmente espressione di una cultura ed è quindi giusto conoscerlo nella sua integrità, cosa che consiglio di fare sempre quando si va all?estero, ma è anche vero che le persone vanno educate ai gusti, ai sapori così diversi. Io ad esempio cerco di aiutare le amiche che mi chiedono di assaggiare il sushi proponendo loro all?inizio del pesce che già conoscono, il salmone, la cernia, il tonno, il branzino. Come primo assaggio non proporrei mai il wasabizuke, che è piccantissimo. Un discorso a parte invece va fatto per i dolci: nel ristorante di Ichikawa non vengono serviti dolci giapponesi e in effetti se vi capitasse di assaggiarne uno, magari a base di fagioli adzuki, bè, capireste perché il ristoratore giapponese non li propone al cliente italiano. In compenso mi è capitato di mangiare la migliore mousse al cioccolato della mia vita proprio in un ristorante giapponese…

Cosa ci consigli per stasera?
Per scacciare la malinconia dell?inverno un buon piatto di ramen con le verdure, cioè pasta tipo tagliatelle con tantissime verdure fresche, funghi, zenzero, sakè, salsa di ostriche, germogli di soia e magari far saltare tutto in padella per renderla più croccante. Si, i ramen sono scacciamalinconia anche nei romanzi della Y…

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