Vincenzo Celano è un poeta e narratore lucano; scrive storie ambientate nel nostro silenzioso e affascinante paesaggio; teatro di vicende tormentate, ambigue, sempre tese a rivelare oltre l’apparire. Sempre sovraccarichi di rappresentazioni astrusi i fatti, o oscuri semplicemente, celati e colti al tempo stesso, dal rapido susseguirsi degli eventi narrati. E nello scorrere di immagini conturbanti, le coscienze, vengono salvate, da quella costanza vigorosa della sua scrittura: l’ironia. Celano non racconta la bella favola che sigilla gli animi alla chiusa, le parole sono tremanti, innervate, ma libere e ingorgate d’un peso umano e sconosciuto.
Sconosciuto a chi per sé lo teme, a chi non ama la Psicoanalisi o semplicemente la coscienza plurima cui invita lo studio della Psiche, a chi respinge Freud, sconosciuto a chi nega a sé la consapevolezza della bidimensionalità dell’uomo contemporaneo. La salvezza, in Celano, sembra risiedere nella natura: conoscerla è penetrarla, ma proprio mentre si ha l’impressione che l’orizzonte si vada finalmente rischiarando, ecco che un’altra corsa, un’altra sfida afferra la mente del lettore, per cadere poi in balia di nuovi frammenti e della pluralità d’ esperienze e percezioni che si sfidano, si alleano, divergono.
E’ come se lo scrittore ci conducesse alla conclusione di maturi uomini del terzo millennio, che la ricerca dell’unità non può che essere all’interno di ciascuna pluralità, così come ci insegna un noto filosofo del Novecento, Pietro Piovani. Celano non rivela ma svela, il suo è un moto allegorico, protagoniste sono le metafore, le assonanze. Coraggioso l’autore, sembra un bambino incuriosito dai meandri del castello di Kafkiana memoria, contratto nell’ambiguità d’abbandono e resistenza.
Così in tutti i racconti e in quello che titola il libro “I Pesci non hanno oroscopo per la sera” tutto appare limpido e netto, tutto è anche groviglio, angoscia, morte. In “I Pesci non hanno oroscopo per la sera” appare curiosa l’impressione di un uomo normalissimo di aver urtato con l’automobile un animale, di notte, ritornando al paese, senza, però, che dell’urto restino tracce troppo evidenti, si trasforma a poco a poco nell’ossessione di aver castrato, in realtà, un uomo, da cui deriva la ricerca affannosa della persona che è stata vittima dell’incidente, finché il protagonista non si trova immerso in un nodo di sesso e di violenza avvenuta e prevista, che lo porta a morire assassinato, mentre insegue una ragazza, in un campo di granoturco, anch’egli come una bestia cacciata e colpita al punto giusto; e nelle conclusioni si rivela, allora, in modo esemplare crudele il rapporto fra sesso e morte, caccia e possesso fisico, che trama sottilmente, nel sottofondo, a tutta la narrazione.
QUALCHE NOTA BIOGRAFICA SULL’AUTORE
Vincenzo Celano è Presidente del Circolo ACLI “L’Agorà” di Castelluccio Inferiore. Giornalista. Naturalista con due grandi passioni, il setter inglese e la beccaccia, ha firmato opere di grande successo e articoli su importanti testate.
Ha pubblicato due raccolte di racconti: La cinghia, Vostro onore, (Forlì, Forum, 1980, con presentazione di Mario Rigoni Stern) e I pesci non hanno oroscopo per la sera (Lecce, Manni, 1989, con introduzione di Giorgio Barberi Squarotti).
Ha vinto nel 1981 il premio “Giuseppe Tirinnanzi”, istituito dall’associazione “La Famiglia Legnanese”, attualmente il più prestigioso premio di poesia italiana.
Animatore da qualche anno di un gruppo di lavoro impegnato nella riscoperta, conservazione e valorizzazione della cultura popolare.