Gli abitanti attendono in primo luogo il botto dei pupazzi e in un secondo tempo aspettano la musica della banda. Solo quando gli strumenti intonano le melodie la statua della Madonna è portata per le vie del borgo. Le ragazze nubili nel frattempo si sono posizionate davanti la divinità e portano sul capo piccoli castelletti di candele (gli scigl), al fine di chiedere alla Dama un matrimonio propizio. Tutte le altre donne si collocano dopo il simulacro e recitano preghiere in lingua arbereshe. La sera della vigilia viene bruciato un altro pupazzo, detto kali, raffigurante un uomo a cavallo. L?immagine anticipa di un giorno la processione vera e propria, seguendo dunque lo stesso tragitto. Nel corso del mese di maggio la tradizione gastronomica prevede che si mangino tagliatelle condite con il latte (fletazit me klumesht).

Le donne albanesi sono conosciute soprattutto per la bellezza dei loro abiti tipici. Il costume che caratterizza le dame di San Costantino è costituito da un copricapo caratteristico (keza e cofa) fermato da spilloni d’argento, a cui si abbina una camicia di seta bianca con merletti sovrapposti, un corpetto rosso con maniche strette ricamate in oro e una gonna, sulla quale sono cucite tre fasce alternate di raso bianco e giallo e una banda di satin blu posta sull’orlo inferiore.

San Costantino è il paese lucano di cultura arbereshe i cui abitanti hanno conservato quasi intatto l?intero patrimonio folkloristico. Non esistono spiegazioni precise per chiarire tale fenomeno, ma un dato è certo: le tradizioni sono vive e tramandate di padre in figlio. Forse per un recondito amore del passato e della lontana madrepatria, forse per un inusuale annullamento delle barriere temporali, in ogni caso il passato continua a rivivere, incarnato e protetto nella storia e nei tempi.

Il nucleo più antico del paesino lucano è denominato katundi alartaz e corrisponde alla parte elevata del villaggio, ove sorge la chiesa dedicata alla Madonna delle Grazie. La sezione più in basso è chiamata katundi ahimaz ed è la sede della pieve eretta in onore della Madonna della Katistea, in seguito demolita al fine di costruire un?imponente strada. L?arteria più importante resta comunque via Skanderberg, la quale attraversa l?intero paesino e si allarga in corrispondenza della piazza centrale ove si trova la chiesa Madre, dedicata a San Costantino il Grande. Sul lato ovest dell?abitato si erige il santuario della Madonna della Stella, protettrice del paese, nonché cuore religioso dell?intera comunità.

La festa più importante di San Costantino Albanese è dedicata proprio all’immagine della Vergine e si svolge a partire dal 2 maggio. Il rito non appartiene alla comunità albanese, ma un?antica leggenda narra che un emigrante sconosciuto fece conoscere la cerimonia, la quale fu ripresa e attuata con fervore dalla comunità locale in tempi alquanto remoti. Tre settimane prima della data del 2 maggio, l?icona della Madonna è trasportata dal santuario a lei dedicato fino alla pieve di San Costantino il Grande. Per l?occasione sono realizzati cinque nusazit (= sposini), dei pupazzi di cartapesta, che raffigurano un coppia di abitanti abbigliati con vesti tipiche, due fabbri e il diavolo. Quest?ultimo ha due facce, quattro corna, i piedi a forma di zoccolo di cavallo, la forca e la catena del paiolo, detta kamasutra. I fantocci sono dotati di ruote, la quali permettono di far muovere i personaggi. Nel dettaglio, i fabbri battono l?incudine sul ferro rovente, mentre gli altri pupazzi girano su sé stessi, fin quando non esplodono. Al loro interno sono, infatti, posti dei gruppi di petardi. I personaggi sono posizionati dinanzi la statua della Vergine nel seguente ordine: i due fabbri, l?uomo, la donna e infine il diavolo.

Il passato che vive nel presente. Il borgo di San Costantino Albanese è situato sulle pendici orientali di Timpa San Nicola, chiuso su tre lati e aperto soltanto in direzione di San Paolo Albanese e della valle del Sarmento, vallata lungo la quale scorre l?omonimo affluente del fiume Sinni. Il paesino fu fondato nel remoto 1534, quando gruppi di profughi albanesi, guidati da Lazzaro Mattes, abbandonarono la natia Corone, in quanto la cittadina venne occupata da invasori turchi.

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