Dipinti e disegni 1903-1965, curata da Massimo Carrà ed Elena Pontiggia. Continua il ciclo di prestigiose esposizioni nate dal progetto “Polo della Cultura“, promosso dalla Provincia di Potenza . L’esposizione avrà luogo fino al prossimo 15 giugno.
La rassegna prende il titolo dalla celebre autobiografia dell’artista recentemente ripubblicata (Carlo Carrà, La mia vita, a cura di Massimo Carrà, Milano, Abscondita, 2002) e comprende oltre settanta opere, che ripercorrono la ricerca del pittore sia nel campo del segno che in quello del colore.

La mostra di dipinti di Carlo Carrà (1881-1966) si apre con una serie di autoritratti (1949, 1951) realizzati dall’autore stesso. Lo stile è semplice: la matita grassa su fogli di carta che imprime fragili e sottili linee, sfumature e contorni. A volte è accompagnata da lievi colori a tempera che impreziosiscono e arricchiscono l’autoritratto (1929). Attraverso tali opere l’autore cerca di immortalare il proprio volto, cogliendo l’espressione psicologica e il passare del tempo. Egli afferma, infatti: “il mio viso è stato modellato dai venti e dalle piogge, le grandi passioni delle stagioni“. Il pittore propone anche un ritratto del padre (1903), realizzato con colori a olio dalle tinte fosche, che conferiscono al dipinto un aspetto compatto. Raffigura altri volti e dà vita a Testa d’uomo (1941), Testa (1913), Ritratto d’uomo (1903), quasi a voler offrire delle rappresentazioni di visi umani, semplici, quasi inespressivi. Sono esposti anche i ritratti eseguiti da F. T. Marinetti, U. Boccioni, G. Manzù e M. Marini, che hanno per soggetto Carlo Carrà.

Già nel corso della prima fase della rappresentazione pittorica di Carrà, sono presenti in nuce i primi segni di innovazione. Nel corso di tale periodo il rinomato pittore conobbe Filippo Tommaso Marinetti e il suo manifesto futurista, pubblicato il 1910 su Le figaro. Carrà va oltre e insieme a Balla, Boccioni, Russolo e Severini, stilano il manifesto della pittura futurista, in modo da riuscire a trovare il centro delle cose, rendendole perennemente vive e mobili. E’ possibile scorgere tali innovazioni nel dipinto Natura morta con uva (1903), in cui l’autore utilizza dei colori a olio spenti, scuri, come a voler rendere il dipinto corposo e autunnale, marcando l’inamovibilità, la staticità del frutto reciso dalla vite. Analogo discorso per Periferia milanese (1909), nel quale il pittore con un esiguo numero di linee della sua matita propone un hinterland essenziale, brullo, ove la presenza umana è quasi un’assenza e la vegetazione è soppiantata da case e fabbriche, fumi e grigiore.

L’innovazione di Carrà risiede nel proporre, altresì, un tipo di pittura rivoluzionaria, che si lega alla scrittura. Il rinomato pittore, infatti, è un ottimo teorico e fornisce delle spiegazioni relative alle proprie composizioni visive. Nel testo La mia vita (1943), in effetti, Carrà afferma che cerca di fissare la commozione suscitata nell’animo, ricerca dei legami tra sentimenti e mondo. Il coinvolgimento scaturisce contemplando i paesaggi. In tal modo è un tradizionalista, in quanto raffigura la natura, ma è anche un modernista, poiché espone l’interiorità. Egli cerca, dunque di astrarre gli oggetti e immedesimarsi negli oggetti stessi, sottraendoli, in tal modo alla contingenza, al deperimento.

Le cose non sono raffigurate in modo passivo, ma diventano pure, assolute, idee platoniche, grazie all’intervento umano. In Scomposizione di figura (1912) rappresenta un oggetto, che è impossibile individuare, in quanto smontato, frammentato. In Ballerina (1910) disegna una donna che danza, ma non si scorgono i lineamenti del viso o dell’abito, quasi a voler raffigurare la “danzatrice universale”, quella che sintetizza tutte le fanciulle nell’atto di ballare. Eppure tale dipinto trasmette inquietudine, attraverso le linee scure della matita e il buio che sembra essere il vero protagonista. Tutte le altre rappresentazioni grafiche sono semplici: pochi tratti di matita, senza colore, come Acrobata (1914), Il prete (1916), La carrozzella (1916),  Il giocatore di dadi, (1917), Due manichini (1917)…, fatta eccezione per Il bersaglio (1928), sintesi di acquarelli, china e collage.

Come pittore Carrà è attento ai movimenti avanguardisti contemporanei. Egli ben conosce le arguzie verbali di Apollinaire, il quale in Calligrammes, propone una singolare simbiosi tra poesia (dunque suoni e parole) e arte figurativa, ben legate tra di loro a formare opere letterarie squisitamente visive. Analogo è il risultato raggiunto da Carrà in Cineamore. Attraverso parole che si incrociano, descrizioni di sensazioni, onomatopee, numeri che formano delle linee, rappresenta in modo grafico-verbale il momento in cui si è recato al cinema.

Il 1917 Carrà è chiamato al fronte, in quanto è in corso la prima guerra mondiale. La vita militare, purtroppo, mina l’esistenza dell’artista, il quale viene ricoverato nel nevrocomio di Ferrara. Nel corso di tale periodo si verifica una svolta nella vita di Carrà, in quanto conobbe Giorgio de Chirico. Dall’incontro si sviluppa un tipo di pittura veramente rivoluzionaria: la pittura metafisica. Attraverso le rappresentazioni grafiche essi cercano, in effetti, di indagare oltre la dimensione fisica delle cose, per captare il vero significato o l’assenza dello stesso. Per quanto riguarda Carrà egli ritorna sulle opere prodotte prima dell’incontro fatale con de Chirico. Successivamente analizza anche la società a lui circostante, devastata dalla guerra e dall’utilitarismo, eventi che sminuiscono il valore di un’epoca. Sono proprio tali eventi che rendono possibili le nuove intuizioni del pittore, il quale si sente chiamato a gran voce dal fato ad adempiere una superiore missione: egli deve declamare al mondo le proprie intuizioni. Trattasi della scoperta del vero celato dietro le cose materiali, che solo l’uomo sensibile e provato da una moltitudine di avversità riesce a scorgere, comprendere e manifestare nell’arte. Le cose essenziali divengono, dunque, il tramite per la vera felicità, quella duratura e spirituale, che l’osservatore capta e raggiunge contemplando gli elementi purificati e fissati nei quadri del Carrà. L’autore comincia a dipingere paesaggi in modo innovativo. Egli cerca di legare le sensazioni suscitate dall’ambiente, il movimento naturale e il panorama stesso.

La natura diventa, dunque,  introspettiva e artistica, ma mai sproporzionata o astratta; è come mediatica tra l’uomo e le cose. I paesaggi sono semplici, quasi essenziali, dai colori ben mescolati e apposti intelligentemente su tela, in modo da dare materialità al movimento. Tale è il caso – solo per citarne alcuni – di Pagliai (1930), la cui immagine è focalizzata su un gruppo di covoni, di Spiaggia (1955), del quale è percepibile il moto delle onde, di Versilia (1960), che raffigura una dimora come se fosse vista in lontananza e appare dunque  sfocata. Il pittore continua anche a utilizzare il carboncino o la matita, strumento che consente a Carrà di rappresentare il reale in modo sostanziale, focalizzandosi sul “protagonista” del dipinto, come in Famiglia del pescatore (1929), Gli amanti (1925) o Contadino (1920). Questo tipo di pittura è definibile realistica, in quanto Carrà propone i contorni degli oggetti e i paesaggi diventano sognati, avvolti da una tenue nebbia, ma comunque proporzionati o dai colori concreti, differente dal cubismo che ben conosce. Egli recupera Giotto, Piero della Francesca, Cézanne, i quali valorizzano le linee geometriche e l’armonia tra forme e colori.

I dipinti del Carrà, pertanto, suscitano emozioni intense, celano una nuova realtà, una nuova concezione dell’arte e della vita, tanto che l’ultimo quadro, La stanza (1965), diventa una sorta di sereno congedo dal mondo circostante. L’anno prima del decesso Carrà raffigura, in effetti, una stanza dalle pareti verdi, la cui porta è aperta. E’ come se egli fosse all’interno della stanza e ne stia uscendo. L’autore ha raffigurato la propria dipartita e l’osservatore si trova quasi immerso nel dipinto e inevitabilemente, spontaneamente focalizza lo sguardo sull’uscio e su quell’assenza d’uomo, che rimanda alla morte fisica.

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