Nella parte alta della cittadina si Acerenza, in largo duomo, sorge la
Cattedrale dedicata all’Assunta e a S. Canio, uno dei monumenti
più pregevoli della Basilicata, elevata a basilica minore dal Papa
Pio XII.
Fondata
nel sec. XI, fu parziamente ricostruita nel 1281 in grandiose forme romanico-gotiche,
con il tema del peribolo a tre absidi affrontato da altre costuzioni meridionali
e precedenti costruzioni dell’Italia centrale.
La facciata, a causa di restauri, è la parte dell’edificio più manomessa;
in origine aveva tre portali , in seguito vennero aggiuni due campanili
a pianta quadrata e il portale destro andò perduto. Nel 1524 la facciata
venne ricoperta con un muro a piccole bozze.
Il portale mediano si differenzia nello stile portandosi come esempio
di un buon ronamico-pugliese (esc.XII); la cornice dell’arco è
caduta e sono rimaste le colonnine di sostegno poggianti su due gruppi
zoomorfi allacciati.In alto si apre un rosone, rielaborazione di quello
preesistente.
Il campanile destro fu rimaneggiato nel 1554 da Mastro Pietri
di Muro Lucano; del sinistro
resta solo la base, con il portale molto manomesso per rispondere al nuovo
uso di accesso a un piccolo locale adibito a museo.
Seguendo lo strettissimo vicolo a sinistra della facciata, si raggiungono
due succesivi spiazzi panoramici, dai quali si hanno superbe vedute sulla
parte meglio conservata della Chiesa, composta da un transetto con due
absidiole e dall’abside con complesso peribolo animato da tre absidiole
divergenti, sopra cui si alza l’abside vera e propria, dalla superba mole,
fiancheggiata da due torricelle che ospitano scale a chiocciola.
Nella decorazione delle absidi furono impiegati fusti di colonnine a spirale
di prezioso marmo orientale, provenienti dall’antico ciborio del tempio.
Tutte le parti superiori dell’edificio, costruite con pietre regolarmente
squadate, sono rivestite da una tenace effluorescenza di licheni che cambiano
velocemente di colore quando il clima passa dal secco (che li rende color
giallastro) all’umido (color verdone) e viceversa, con un effetto in combinazione
di natura-artificio spettacolare.
La cupola che si eleva sulla crociera, nell’attuale forma ottagonale,
è frutto di un discutibile rifacimento del 1934, in seguito all’abattimento
della cupola cilindrica originaria gravemente lesionata dal terremoto
del 1930.
INTERNO
Ampio a croce latina a tre navate divise da semplici pilastri, ha il presbiterio
sopraelevato e il peribolo con tre absidi semicircolari. I restauri hanno
eliminato le aggiunte barocche: il grande transetto, l’abside e il superbo
peribolo hanno conservato meglio le originarie forme romaniche, con volte
a crociera che preannunciamo il gotico.
All’altare del transetto destro, è una volta con la Madonna del Rosario
con S. Tommaso e Quindici storie della vita della Vergine e di
Gesù (1583).
Da notare è la base del’altare maggiore, costituita da un grande capitello
ionico che faceva da acquasantiera. Percorrendo il peribolo si vedono
capitelli cubici e tre colonne in parte scanalate, provenienti da monumenti
di epoca precedente.
La prima abside destra presenta ancora intatta la ricca decorazione barocca
a stucchi; sull’altare del transeto sinistro si trova una Pietà su
tavola del sec. XIV incorniciata da una ricca arcata marmora del 1570.
Nello stesso braccio è stato rimontato l’altare barocco proveniente dal
presbiterio.
Nel corso dei restauri effettuati nel 1950 è stato alterato il sistema
di accesso alla cripta sotterranea, con l’inserimento di una rampa centrale
che sale al presbiterio e la costuzione di due scale che scendono alla
cripta. Questa, originalissima per concezione e fattura, è importante
testimonianza del Rinascimento in Basilicata; fu rifatta per volere di
Giacomo Antonio Ferrillo, conte di Muro
Lucano nel 1523, su modello della più famosa cripta del succorpo del
duomo di Napoli dedicato a S. Gennaro, opera di Tommaso Malvito di Como.
Consta di uno spazio quadrato in cui quattro colonne con alti pulvini
decorati sorreggono le complesse volte, ricoperte da affreschi restaurati
nel 1970, con figure e scene sacre in eleganti tondi.
Le pareti dello spazio maggiore sono scandite da fini lesene scanalate.
Nel fondo, entro un varco dietro l’altare, è il sepolcro marmoreo dei
coniugi Ferillo, al cui casato apparteneva il vescovo committente.
Nella sagrestia si trova un Cristo in trono, trittico del sec.
XV.
In un locale a sinistra dell’ingresso che ha accesso solo dall’interno
è sistemato un piccolo museo: insieme ad altri frammenti scultorei di
diverse epoche, vi si custodisce un vigoroso busto marmoreo di Giuliano
l’Apostata, che una volta era collocato al vertice della facciata.
Questo era ritenuto il busto di S. Canio, vescovo di Iuliania in
Africa, il cui corpo fu portato ad Acerenza
sotto l’incalzare dell’invasione maomettana.
Al Lenormant si deve la rivelazione del soggetto facilitata da un’epigrafe
mutila che si vede accanto al busto: “Reparatori orbis/Romani Du?/Iuliano
Aug. Acher?/Principi/Ordo/Acherunt?.”
Altri lo ritengono il busto di Federico II.