De Chirico – Dalla Metafisica alla “metafisica”. Con questo tema Vittorio Sgarbi ha curato la mostra su De Chirico che s’inserisce nell’ambizioso progetto politico dell’amministrazione provinciale di Potenza “Il polo della cultura” come condizione di sviluppo della società lucana.
Sgarbi, non avendo potuto esporre se non poche opere del primo periodo della vita artistica di De Chirico, perché tenute strette dai grandi musei e da importanti collezioni private, ha dovuto ripiegare, giocoforza, su pezzi del lungo periodo successivo, grazie alla grande disponibilità costituita dalla Fondazione Giorgio e Isa De Chirico di Roma. Facendo di necessità virtù, il noto critico d’arte ha rilanciato una tesi molto controversa, secondo la quale le opere comprese tra il 1909 e 1920 sarebbero l’espressione più autentica della pittura metafisica e, perciò, da lui indicate nel tema con la M maiuscola, mentre tutte le altre appartenenti al periodo successivo, sebbene senza soluzione di continuità, sono state indicate con la emme piccola e il termine metafisico, avvolto in virgolette.
Il pensiero ricorrente dei critici è che tra il primo ed il secondo periodo artistico la continuità può essere vista solo in un’ottica non ben definita, e con molte forzature e tanti distinguo. De Chirico, influenzato dalle teorie artistiche di Boeklin e dalle teorie filosofiche di Schopenhauer, fu iniziatore e teorico di un’arte volta a creare suggestioni fantastiche e oniriche, accostando, in modo apparentemente irrazionale ed illogico oggetti di varia natura.
Le nitide ombre collocate in piazze deserte e i manichini inseriti in spazi costruiti secondo le tecniche della prospettiva quattrocentesca ne sono gli esempi più evidenti.
Tra il 1911 e il 1917, infatti, l’artista ha elaborato una serie di soluzioni formali e spaziali con le quali ha saputo avvolgere nel mistero la visione della vita interiore, per mezzo di immagini ed oggetti le cui proporzioni e le cui ambientazioni ben potrebbero dirsi di origine onirica.
Le prospettive con elementi incongruenti o fuori scala, i manichini o le distanze suggeritrici di infiniti, non rappresentano la liberazione delle forze del subconscio, ma sono lì per plasmare un universo impossibile in cui si insediano personaggi e oggetti, organizzati secondo la logica dell’assurdo. Ogni prospettiva diventa una specie di abisso orizzontale, un invito angoscioso a percorrere vie inesplorate, espressioni premonitrici del surrealismo. Come dice Sgarbi: ” De Chirico ha voluto fare della pittura un corrispondente visivo di Nietzche, Schopenhauer, Freud, Weinger “.
E’ lo stesso De Chirico che afferma “Schopenhauer e Nietzche insegnarono per primi il profondo significato del non senso della vita e come tale non senso potesse venire trasmutato in arte“.
Secondo Sgarbi – “La pittura (di De Chirico) è il modo di rappresentare un -non reale- che può essere molto più vicino alla verità della realtà apparente; un -non reale – che si mescola ambiguamente all’apparenza del reale, una dimensione “altra”, parallela“, esplicita affinità col pensiero di Nietzche (Il solo mondo è il mondo apparente. Il mondo reale è solo una menzogna). Tra il 1920 e il 1925 la pittura di De Chirico si va sempre più orientando verso un recupero tecnico-formale della pittura rinascimentale e barocca, nonchè verso una conseguente particolare interpretazione di motivi dell’antichità classica.
Nel decennio 1930-1940, mentre nei dipinti accentua il suo barocchismo, si allontana sempre più da quella forma di pittura che egli stesso ha definito “più completa, più profonda, più “metafisica”.
La mostra, costituita da 53 oli, 45 disegni e 10 sculture si snoda nelle sale della Pinacoteca di Potenza in una ordinata sequenza delle opere accompagnate da opportuni pannelli didattici.
Si apre con un dipinto giovanile molto interessante, emerso dall’oscurità solo di recente: Paesaggio con un cavaliere, 1909: così è datato il paesaggio d’ispirazione boekliniana mentre è databile 1938 l’inserimento del cavaliere. La tristezza della primavera, 1970, e Mobili e rocce in una stanza, 1973, completano la rassegna dei dipinti. Una selezione di undici sculture e una scelta di disegni che ripercorrono i temi e i diversi periodi della creatività del maestro accompagnano la mostra. In uno degli ultimi pannelli si possono leggere alcuni versi del De Chirico, estrapolati dai Poemes del 1927/30 : ” Ti ho sempre amata – oscura selva della mia vita”. Laura Gavioli, coordinatrice scientifica della mostra, dice:
“Giorgio de Chirico è stato l’artista più controverso del novecento italiano e oggi, allo stato degli studi sulla sua opera, si definisce sempre meglio il suo indiscutibile primato nella pittura che ha concepito la Metafisica e si delinea prepotente la forza di un genio capace di coniugare i sogni con la realtà facendoci credere che centauri e dioscuri, manichini e archeologi, gladiatori e figure mitologiche, piazze misteriose, fossero ugualmente parte di quella stessa realtà, così come l’artista l’ha percepita e vissuta dipingendola giorno dopo giorno“.