In questa breve riflessione si cercherà di analizzare due tipi diversi di strategia di lotta al Capitalismo: la rivoluzione armata violenta e la disobbedienza civile; entrambe contrapposte ad una strategia di dominio: la democrazia di massa, l’imperialismo e il liberismo economico sfrenato.

Si tratterà, dunque, della “strategia”: del metodo di comportamento, cioè, che un’associazione di uomini che si prefigge degli scopi adotta per realizzare appunto tali fini.

La strategia diventa un modo di vivere ed operare nella società.

Permea tutta l’esistenza dell’attivista, del militante.

La strategia presuppone la fusione delle due attività umane del “contemplare” e dell’ “agire”.

La rivoluzione armata violenta: critiche ad una strategia di lotta ed ad una dottrina politica

Il marxismo-leninismo adotta come strategia di lotta contro la società borghese la “rivoluzione armata violenta”, attraverso cui conquistare “i mezzi di produzione”. Una volta conquistati tali mezzi di produzione nella nuova società socialista nascente si dovrà instaurare una “dittatura del proletariato”, che soppianterà i vecchi regimi monarchici e liberal-democratici abolendo, così, le “classi sociali” e instaurando compiutamente una “società egualitaria”: la “società comunista” per l’appunto.

Il marxismo-leninismo vive del “mito del progresso”, della “fiducia nella scienza”. Marx nutre una grande fiducia nelle “macchine” e, quindi, nella “tecnica”. Naturalmente Marx non era un veggente e non poteva leggere nel futuro dell’umanità due guerre mondiali, il genocidio di un popolo, lo sganciamento delle prime due bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, l’ammaraggio sulla Luna di Armstrong nel ’69, la clonazione, la manipolazione genetica, l’effetto serra e l'”ecocidio”.

Marx prospetta, inoltre, la realizzazione immediata del socialismo nelle nazioni più sviluppate dell’epoca in senso industriale e politico-sociale: vede, infatti, la Germania di fine ‘800 prossima ad una “rivoluzione proletaria”. Certo, Marx non avrebbe mai pensato che dopo la disfatta nel primo conflitto mondiale, la debole e fragile Repubblica di Weimar, che annoverava in sé “l’elité intellettuale” del jet-set mondiale, avrebbe ceduto il passo al Nazionalsocialismo del Terzo Reich e alla tragedia immane della Seconda Guerra Mondiale.

Marx, infine, conserva una visione “eurocentrica” dell’universo. Il grande pensatore tedesco non riesce ad uscire fuori dalla sua “Weltanschaung etnocentrica” per guardare con maggior disincanto al mondo nella sua interezza. Sarà, infatti, il primo a parlare di “modernizzazione dei Paesi poveri”. Marx prospettava l’esportazione della “civiltà industriale europea” nel resto del mondo non ancora “civilizzata”; per far sì che i Paesi poveri progredissero a tal punto da poter tenere il passo dei Paesi europei più industrializzati e permettere, così, che “il libero sviluppo di ciascuno fosse la condizione per il libero sviluppo di tutti”. Marx, inoltre, vedeva nell’Inghilterra e nella Germania di fine ‘800 rispettivamente: il modello di Paese industrialmente avanzato e il modello di Paese politicamente avanzato.

Solo nei “Grundrisse” e negli articoli giornalistici scritti tra il 1843 e il 1857 si intravede in Marx uno spiraglio di luce e di apertura ad altri tipi e possibilità di interpretazioni.

La disobbedienza civile: pratica della non-violenza.

Il “Movimento dei movimenti”, invece, adotta come strategia di lotta contro la “globalizzazione del capitale” e contro il “neo-liberismo economico e finanziario” la “Disobbedienza civile”. Essa consiste nella pratica della “non-violenza”: nella piena convinzione che la lotta armata e la violenza non conducano a nulla se non a nuove e più efferate violenze. L’unica “arma” di cui dispone e si può servire il “disobbediente” è il suo “corpo”: nudo e alleggerito di qualsiasi oggetto che possa essere usato come un’arma. Il disobbediente, quindi, agisce attraverso “atti di disobbedienza”: sit-in, boicottaggio, consumo critico, sciopero, attivismo, diritto a manifestare il proprio dissenso, propaganda e contro-informazione, costruzione di “un’etica della disobbedienza”, impegno politico-sociale, impegno nello studio.

Durante le manifestazioni e i cortei di piazza il comportamento del disobbediente deve essere “esemplare”: attraverso l’uso estremo e radicale della non-violenza, deve opporre il proprio dissenso, in maniera “assolutamente” pacifica, contro i poteri costituiti che vanno contro i diritti dell’uomo e dei popoli oppressi e discriminati.

“L’estremo sacrificio” del disobbediente sarà l’estremo sacrificio di tutti i disobbedienti scesi in piazza a manifestare: – “Non ci servono “singoli martiri” da venerare come santi; vogliamo “un esercito di martiri” pronti a morire per dare “l’esempio” alle masse, cosicché queste si risveglino dal “sonno degli inetti”, in cui “il pensiero dominante” o i “pensieri dominanti” le hanno fatte cadere per domarle e sfruttarle più facilmente”.

Auspichiamo con la nostra azione, perciò, il “risveglio delle coscienze” ed un uso critico della propria “conditio vitae”, la “human condition” di arendtiana memoria. Il “potere dell’esempio” presuppone la costruzione di “un’etica personale”, di “un’etica della disobbedienza”, che presupponga a sua volta dei “valori”, dei “valori universali”. Quest’etica dovrà tener conto, in primis, dei progressi che hanno subito i “costumi” della nostra società negli ultimi cinquant’anni e dovrà rappresentare ciò che di più lontano si possa immaginare, dalle concezioni bigotte e perbeniste che serbano in esse il seme del “pregiudizio” e, quindi, del “razzismo” in tutte le sue forme e sfaccettature.

La conditio sine qua non per realizzare tale trasformazione etica dell'”animo umano” è “l’apertura al diverso”: il rispetto delle “culture altre dalle nostre”, l’abbandono della pratica della competizione e dello scontro, l’utilizzazione diplomatica e sincera delle forme del “dialogo” e “dell’incontro tra diverse culture” partendo sempre dal rispetto delle singole identità culturali che via, via si incontrano; infine, il secco e chiaro “rifiuto della guerra” per risolvere i problemi delle tensioni e controversie internazionali.

Siamo votati a “costruire”, non a “distruggere”!…
Ma in questo momento di crisi e di congiuntura storica molto stridente la nostra pratica non sarà né quella del costruire, né quella del distruggere. Sarà, invece, quella del “comprendere”. Capire. Nell’azione, si potrebbe dire, si tratta di “riassettare” un giardino, ma non di “ordinare” una stanza. Non vogliamo imporre un “ordine nuovo”, non è nostra intenzione farlo… vogliamo o vorremmo, perlomeno, capirci qualcosa… e, successivamente, partendo dal “basso”, da una dimensione “micro”, “locale”, cercare di affrontare e risolvere i problemi e le questioni irrisolte delle piccole comunità, per far sì che le cose funzionino meglio.

In questa prospettiva rientrano queste “benedette” questioni irrisolte della “politica locale”. La Basilicata soffre… soffre la sua posizione marginale: siamo nient’altro che uno dei Sud dell’Occidente. Da noi arriva solo una lontana eco delle decisioni che, invece, si prendono nei centri del potere. Non possiamo certo svincolarci da tale situazione, ma potremmo certamente sfruttare la nostra posizione defilata per trarne grandi vantaggi per la popolazione e per il territorio della nostra regione. Ma i politici, i partiti, le associazioni, i consorzi, le amministrazioni pubbliche, gli enti regionali e statali, nonché la gente non ne vuole sapere… e allora si accumulano le questioni irrisolte e scottanti:

– L’acqua: la privatizzazione degli acquedotti lucani e pugliesi; l’appropriazione delle nostre acque da parte di una regione “assetata”: la Puglia; le perdite di migliaia di metri cubi d’acqua ogni anno, a causa della negligenza dei manutentori; i consumi elevati che ogni famiglia mantiene.

– Il petrolio: lo sfruttamento dell’enorme giacimento petrolifero lucano ha previsto e prevede tuttora perforazioni a più di trenta metri in profondità e di esplosioni di candelotti di dinamite in una delle zone a più alto rischio sismologico come testimonia, d’altronde il lavoro “I terremoti della Basilicata” di Maurizio Leggeri; la conclusione dell’oleodotto che porta il greggio dalla Val d’Agri fino a Taranto ha comportato la disoccupazione per centinaia di camionisti che avevano investito tutti i loro risparmi nell’acquisto di autocisterne per il trasporto dell’oro nero. Oggi, questi, si ritrovano disoccupati e pieni di debiti, mentre l’E.N.I. non ha rispettato per nulla gli accordi presi con i sindacati degli autotrasportatori; per non parlare, poi, degli incidenti ripetutisi al Centro Oli di Viggiano e nelle campagne della Val d’Agri (ricorderete sicuramente la fuoriuscita, pochi mesi fa, di 3000 litri di greggio riversati da una vasca di contenimento in un laghetto artificiale); infine l’incompatibilità tra parco nazionale e petrolio: ciò non vale solo per il Parco del Pollino dove, comunque, si sta procedendo alle trivellazioni e all’installazione di pozzi, ma anche per il futuro Parco del Lagonegrese-Val d’Agri, che dovrebbe essere una realtà già da molto tempo.

– Lo scoppio della “tangentopoli lucana” conferma la corruzione della classe politica e le connessioni tra Regione ed E.N.I., di cui mi occupai mesi fa in un’inchiesta sul petrolio in Basilicata pubblicata a puntate sulle colonne di Lucanianet.

La cementificazione della costa Jonico-lucana: i ragazzi di Vigilanza Ambientale si stanno battendo da tempo per fronteggiare la sempre più massiccia cementificazione della costa, che sta distruggendo le bellezze naturali di luoghi che rapirono un tempo l’interesse di Federico II.

– La siccità e la crisi agricola: l’abbassamento del livello dell’acqua nei serbatoi lucani e le precipitazioni piovose sempre meno frequenti hanno portato in questi ultimi anni ad una profonda crisi dell’agricoltura lucana: quest’anno il tempo pazzo e la mancanza d’acqua hanno messo in serio pericolo la produzione di fragole, per esempio, di cui la Basilicata è una delle maggiori produttrici in Italia.

– La sanità: con il problema dell’Ospedale unico del lagonegrese e del più recente “sopruso”, fatemelo dire, che prevede l’accorpamento dei comuni, che di conseguenza vengono privati della guardia medica: assurdità, viste le distanze che separano i vari paesi l’uno dall’altro e la mancanza, ancora, del servizio di 118, il Pronto Intervento, che verrà reso funzionale soltanto nel 2003.

– La negligenza delle amministrazioni pubbliche e dei cittadini, che a distanza di anni dalla sua introduzione non compiono la Raccolta Differenziata come dovrebbero causando un grave danno ambientale: addirittura in alcuni comuni non esistono o non vengono utilizzate le famose “campane” per la raccolta del vetro, della plastica e della carta.

– Per concludere la sempiterna questione del lavoro: la disoccupazione, il lavoro precario, il lavoro nero.

Riassettare, dunque, quei “rapporti di produzione”, che regolano la “divisione del lavoro”, appiattiti dall’indolenza e dall’apatia di quel “ceto medio” che in tutte le sue manifestazioni e le sue frammentazioni rappresenta “il cuore pulsante” della società Occidentale contemporanea; spesso monopolizzato e strumentalizzato dai “ceti abbienti”, diffusori di un “pensiero dominante omologante” e portatori sani dei geni dello “sfruttamento” schiavistico e coloniale e dell’oppressione militare ed economico-finanziaria dei Paesi e delle parti del mondo che da anni, ormai, vengono chiamate in svariate maniere (sottosviluppati, in via di sviluppo, poveri, Terzo Mondo, Quarto mondo), ma che in realtà non hanno avuto la “libertà” di seguire la loro logica evoluzione storica: “ostacolati” o “aiutati” dalla colonizzazione dei Paesi occidentali dotati di una maggiore “tecnologia”.

L’Occidente ha contratto, nei secoli, un enorme “debito” con tali Paesi, con il “Sud” del mondo. L’Occidente, oggi, inizia a pagare questo debito con le crisi che investono la nostra società in tutti i settori della nostra esistenza. Emblematico è l’esempio della Gran Bretagna: prima tra le nazioni dell’Europa Occidentale ad industrializzarsi ed ad espandersi, creando un Impero coloniale; prima tra le nazioni occidentali, oggi, ad entrare e sprofondare in una crisi che investe tutti i settori della vita dello Stato.

Oggi il problema non è lo sviluppo industriale dei Paesi sottosviluppati, la loro “modernizzazione”, ma è: – “Quale tipo di sviluppo? E, soprattutto, la “qualità” di questo sviluppo…”
In questo discorso rientra il cambiamento di “prospettiva storica” che dobbiamo assolutamente effettuare prima che sia troppo tardi!… Sulla bilancia dei “valori” bisogna togliere quei “falsi-valori”, che fanno riferimento “al mito del progresso”, alla “fiducia nella scienza”, allo “sviluppo” visto come “sviluppo industriale ed economico” e bisogna fare posto a quei “valori universali”, che fanno riferimento, prima di tutto, all’ “ambiente”, all’ “ecosistema”, alla “natura”. Natura come “Mater”, ma non come la “Madre natura” della classicità: dispensatrice di doni per gli uomini e protettrice e custode del frutto del loro lavoro; ma come una “madre vecchia e malata”, dimenticata dal proprio figlio prediletto, che per secoli l’ha lasciata sola, l’ha maltrattata e ne è rimasto il più lontano possibile. Nel XXI secolo questo figlio, “l’uomo”, come nella parabola del “figliol prodigo”, si è ricordato della sua casa e vi ha fatto ritorno. Adesso bisogna che ripari alle sue mancanze, accudendo gli anziani e malconci genitori e riprendendo confidenza con il suo originario “habitat naturale”, senza per questo rinunciare a due secoli di scoperte e di progresso.

La vera sfida del nuovo secolo e far “coesistere” “Gea”, la madre Terra, con la “te???”, prodotto della potenza creativa dell’uomo. La tecnica ha dato all’uomo “il potere”, dunque, di autoannientarsi, e di distruggere il suo mondo, la sua casa. La scommessa che vogliamo fare con l’intera umanità è: – “Sarà capace l’uomo di domare la te??? e “oltrepassare la linea” del “Nichilismo” (della tendenza cioè verso il “Nulla”), superandola ed entrando in una nuova fase della sua esistenza, che potrebbe essere la sua “maturità”?”

Noi vogliamo provarci!…

Vedremo cosa succederà…

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