“E’ morta la parola/forse anch’io/ e non c’è altare/ sotto questo silenzio/ chissà se un giorno / potrà esserci un dio”.
In questi versi, cara Anna, mi pare sia racchiusa la quintessenza del tuo sentimento poetico: del tuo rimuginare sul senso proprio della parola. Spesso, il suono che affidi ai tuoi versi sembra rivolto alle orecchie degli “addetti ai lavori”. Infatti, cosa vorrà dire: la parola è morta…il poeta è morto? Certo, il dilemma è vecchio e porta con sé tutta l’inquietudine e tutta la magia racchiusa nella memoria affettiva delle intelligenze artistiche di ogni tempo; ma quale sarebbe, oggi, l’opinione degli esperti di ermeneutica…l’opinione dei critici letterari?
Se i tuoi versi non sono semplici giochi di parole o compiacimento letterario, il loro senso non può che essere germe di un sincero talento creativo. Dubito però che simili composizioni possano comunicare qualcosa a chi non ama la poesia. Ma questo, credo io, non è né un merito né un difetto di chi scrive. D’altra parte, a un’opera d’arte, basta un particolare piccolissimo per renderla immortale; a una musica basta una nota particolarissima per essere ricordata sopra le altre; a un lavoro letterario basta una certa parola, che sappia incidere nell’animo, che sappia scendere nel profondo del nostro sentire.
Le parole che fanno breccia nel nostro profondo sono quelle che risuonano in un campo che noi già amiamo, ma che non sappiamo riconoscere. Questo fa il poeta lavorando sulla parola, calibrandola ad arte; egli, facendo vibrare la nostra sensibilità più remota, ci permette di cogliere nuovi spunti per amare gli altri e per apprezzare la vita. La parola è tutto ed è niente. Quella del poeta dura un radioso secondo…ma può essere eterna: stringere l’infinito legame tra visibile e invisibile, spingere gli esseri umani di tutti i tempi a cercarsi, a combattersi, a odiarsi, ad amarsi.
“Se il resto tace”, la penna del poeta è sempre mossa da un magnifico desiderio di vedere oltre il nostro quotidiano contatto; la sua scrittura è sempre alla ricerca di trovare nelle cose un significato che non sia ancora stato scoperto, e cerca di esprimerlo in maniera personale, secondo il dettato della sua coscienza ( che altro non è se non il punto di incontro tra il sentire interiore e la cultura che si è dato attraverso lo studio e l’amore per i maestri che lo hanno formato).
“L’opera dello scrittore” diceva Marcel Proust , “è soltanto una sorta di strumento ottico ch’esso offre al lettore per permettergli di scorgere ciò che, forse, senza la sua opera, non avrebbe veduto in se stesso”.
Per questo e per quanto mi riguarda, cara Anna, mi piace credere che la tua silloge abbia voluto comunicare questi sentimenti e queste emozioni.
Vedrai, non mancherà chi ne apprezzerà l’alto senso etico e il valore letterario che in essi hai saputo trasmettere.