[…segue] Poi chiede: “Ma almeno gli abitanti del luogo ci hanno guadagnato qualcosa con questo scempio?” E Alfonso Fragomeni: “Gli impiegati del luogo al Centro sono solo 30, e le famose royalty non sono mai arrivate, perché l’Eni è stata furba a mettere nel contratto una clausola che danneggia la regione Basilicata. Ma il problema non è questo. Il problema è che l’Eni non ha rispettato nessun accordo: dov’è l’osservatorio ambientale? Dov’è la Fondazione Mattei? E poi, perché c’è tutta questa segretezza, tutto questo astio nei confronti di semplici cittadini che vogliono sapere? L’Eni ha un unico obiettivo: estrarre più petrolio che si può nel minor tempo possibile. Ma i cittadini andrebbero rispettati”. Nigro fa domande in continuazione. Chiede che rapporto intercorre tra l’attività estrattiva e i fenomeni sismici (la Val d’Agri è territorio altamente sismico) e tra la trivellazione e la compromissione delle falde acquifere – un geologo, Giampiero D’Ecclesiis, mi ha spiegato l’alto rischio che corrono le ricche falde acquifere della Val d’Agri. Alfonso racconta che a Potenza gli assessori della regione affermano che è tutto sotto controllo, ma poi chiosa con amarezza: “Ma da dove la prendono tutta questa certezza? Oltretutto, questi sono tra i posti più belli d’Italia, qui non hanno voluto fare il Parco Nazionale solo per permettere all’Eni di fare quello che vuole”. E questo corrisponde al vero, basta intervistare Giovanni Pandolfi, ex assessore alla regione del gruppo Verdi, il quale fu protagonista di un surreale incontro al Ministero dell’Ambiente, dove un ordine del giorno (l’istituzione del Parco Nazionale della Val d’Agri) si trasformò, in malafede, nella ratifica delle attività estrattive dell’Eni. Oggi Pandolfi non è più alla regione, e questo perché fu l’unico esponente della maggioranza ad avere riserve sulle concessioni all’Eni. Un giorno Fragomeni mi ha detto: “Devi pensare che l’Eni ha fatto i sondaggi petroliferi finanche sulla vetta del Monte Volturino”. Ma la popolazione inizia a essere delusa, e molte persone ci hanno raccontato il proprio disagio, specie per le esplosioni da sondaggio che vengono effettuate nei centri abitati – determinando lesioni nelle case. In molti stanno capendo che quello del petrolio in Lucania è solo un ennesimo “miraggio”, e che i vantaggi per le popolazioni sono nulle.
Mario Diamante spiega a Raffaele Nigro come funziona un pozzo “a bocca di pozzo”. Nigro è attento, si accarezza la barba perplesso, il suo volto ha i tratti di un busto ellenico. Poi afferma: “Il problema è Hollywood. Nel sud la modernità è stata sempre vista come fenomeno esagerato, d’importazione. La modernità non è una cosa che s’importa, la modernità la deve creare il territorio. Ma come si può pensare che l’attività petrolifera possa essere sentita da questa popolazione? Il problema è che storicamente qui non c’è mai stata una borghesia intermedia che amasse il proprio territorio. Un banchiere del trecento possedeva mille libri, un principe di questi posti ne aveva solo settanta”. Siamo in postazione panoramica, a Viggiano: la Val d’Agri è tutta davanti a noi, con il mostro del Centro Oli che domina la valle. Non lo diciamo, ma sentiamo su di noi tutto il peso dell’impotenza. Mario dice: “L’Eni da qui non la toglie neanche il Padreterno”.
Il sindaco di Viggiano, Vittorio Prinzi, mi ha detto qualche giorno fa: “Siamo delusissimi. Nel nostro comune ci sono 18 pozzi petroliferi, e l’Eni fino a oggi ci ha dato solo 3 miliardi di lire”. Mi spiegano che Prinzi è stato tra i più entusiasti sulla “questione petrolio”. Anche chi volle i pozzi nella Val d’Agri ora incomincia a dubitare, ad arrovellarsi, a essere deluso. Quando gli dico che la bellezza della Val d’Agri è stata definitivamente compromessa, lui mi risponde: “Lei non deve guardare la Val d’Agri da questo pianoro, ma dall’altra parte. Questa parte di Val d’Agri è oramai scempiata”. Vittorio Prinzi, come Dinardo (ex presidente della regione), come Bubbico (attuale presidente della regione), come Chiurazzi (assessore all’ambiente) ha avuto il coraggio di prendere una decisione. Avrà, insieme agli altri, un giorno di là da venire, il coraggio di ammettere di aver svenduto una parte di Lucania e di averne compromesso lo sviluppo turistico e ambientale?
Da Villa d’Agri ci dirigiamo verso Castelemezzano. Io sono in macchina con Nigro. Mentre andiamo in Val Camastra, un grande falco vola davanti alla Passat rossa. Nigro mi dice, indicandomelo col dito: “Uno scrittore come me, quando scrive, scrive pure di lui. Il falco non è la tradizione, il passato. Perché ci dobbiamo vergognare delle nostre cose? Devi sapere che quando nel 1987 vinsi il Premio Campiello, da anni nessuno voleva più pubblicare scrittori del sud. Dopo la scuola di Napoli (Rea, Compagnone, Prisco) nessuno voleva più sentire parlare di noi. Quando uscì a fatica I fuochi del Basento ho venduto più di un milione di copie. Per essere moderni non bisogna per forza parlare delle puttane o della droga”. Dopo mezz’ora di cammino incontriamo per strada una grande trivella. Nigro la guarda, poi stringe il pugno destro: “E’ un cazzotto nello stomaco. Queste sono ferite per la nostra terra”. Io penso alle spiegazioni che mi hanno fatto delle trivelle: scendono fino a cinquemila-seimila metri e perforano sia in verticale che in orizzontale. [segue…]