Ottenuta ufficialmente l’autorizzazione ad incontrare Dan Fante per intervistarlo, l’abbiamo raggiunto nella hall del Grande Albergo potentino. Il primo impatto con un perosnaggio della sua levatura è avvenuto all’insegna dell’impressione suscitata dal suo aspetto fisico; trattandosi di un uomo alla soglia dei ’60, non ci aspettavamo un look da giovane underground, in versione casual con brio (e piercing al naso denotato da un vistoso cerchietto argentato). Appena entrati nell’atrio, l’abbiamo trovato comodamente adagiato su un divanetto e immerso in un serafico atteggiamento di attesa; ad un nostro cenno di appropinquamento, si è destato per accoglierci, ci ha stretto la mano con affabilità per le obbligate formalità e si è dichiarato a nostra disposizione, avvalendosi della sua irrinunciabile collaboratrice-assistente-traduttrice, la quale ha esordito informandosi circa le nostre modalità preferenziali nello svolgimento dell’intervista.
La prima domanda sottoposta verteva sulla personale citazione d’autore inclusa nella brochure del programma per il Bookmark, nonché sulla sua pertinenza con le tematiche affrontate dalla manifestazione; la risposta conferita è riuscita ad evidenziare bene concetti pregnanti, espressi attraverso un eloquio essenziale:
“Tutte le culture occidentali (quella americana in maniera più accentuata) puntano ad occuparsi di problemi esteriori, di aspetti come quelli valorizzati dalla globalizzazione, mentre, a mio avviso, bisognerebbe dedicare maggiore attenzione ai processi interiori dell’essere umano, che sono in grado di determinare cambiamenti rilevanti e sovvertimenti improvvisi”.
La successiva questione affrontata riguardava il libro che ha poi presentato in serata, con specifico riferimento al contenuto, da esaminare rapportandolo ai due romanzi precedenti, ma anche in relazione al contesto più generale degli altri lavori realizzati (che esulano dall’ambito esclusivamente letterario-narrativo).
“Si tratta di una raccolta di poesie, rivolte alla gente che si può sentire onesta, credere nei propri desideri, avere una vita serena; il mio intento è quello di scrivere per sconvolgere le persone. Uno dei miei due nuovi lavori, la commedia “Agganci”, costituirà il soggetto per la realizzazione di un film, il cui attore protagonista sarà scelto tra Sean Penn e George Clooney; mi sto dedicando anche ad una versione di Don Giovanni, in cui è presente la figura di mio padre Johnathan”.
Abbiamo tentato di tracciare un triangolo tra il suo compianto e celebre padre John, lui e Bukowski, ma non ha gradito il suggerimento, asserendo che si discosta da entrambi gli altri due autori; infatti di suo padre ammira lo stile e non apprezza i contenuti, dell’altro scrittore non condivide la glorificazione di alcuni aspetti connessi all’alcoolismo (eppure qualche critico letterario l’aveva definito più bukowskiano di Bukowski stesso!).
Gli abbiamo chiesto se il suo approccio alla scrittura teatrale è assimilabile a quello narrativo e se, attraverso le sue commedie ha trovato espressione una vena umoristica simile a quella che tanto ha caratterizzato le opere paterne.
“Teatro e romanzo differiscono sia come mezzi di comunicazione che per lo scopo che mi prefiggo di perseguire avvalendomi dell’uno e dell’altro; infatti, attraverso la rappresentazione teatrale posso dar voce a personaggi folli, facendo loro pronunciare parole scritte da me e percependole con un effetto paragonabile ad un incidente ferroviario, ad uno scontro di treni. Di solito, una finalità del teatro è l’intrattenimento, ma per me conta maggiormente il modo in cui lo si concretizza”.
Oltre a renderci note le sue radici lucano-americane, con la nonna originaria di Potenza, ci ha interrogati in merito alla presenza di molti palazzi ricostruiti, curioso di sapere se la causa della loro distruzione fosse da imputare alla guerra; è rimasto interdetto e sorpreso quando gli abbiamo riferito che il terremoto dell’8o ha provocato danni ingenti e quantificabili alla stregua del conflitto mondiale!
Ci siamo riservati come congedo una domanda pertinente al romanzo che predilige tra quelli scritti dal padre e l’annessa motivazione; la sua risposta è stata:
“Chiedi alla polvere, perché descrive un cambiamento interiore, una crescita personale”.
L’abbiamo ringraziato e mentre lo salutavamo abbiamo avuto l’impressione che, grazie al mutamento profondo, avvenuto dopo alterne vicende con trascorsi poco piacevoli ed un periodo travagliato, si è riconciliato con se stesso, col padre e col mondo…