Volendo chiosare e concludere la nostra analisi cominciata con la serie di articoli sulla conservazione del potere nella Basilicata del XIX sec., non si può non esordire dicendo che il quadro della società e della politica locale tra prima e seconda repubblica si presenta frastagliato e ricco di contraddizioni, molte delle quali si sono palesate solo negli ultimi anni.
Infatti, andando ad analizzare quella che è stata la realtà locale a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale possiamo notare che poco o nulla vi era di differente rispetto al quadro ottocentesco.
Con l’instaurazione della democrazia la struttura sociale presente da sempre si consolidò ulteriormente riaffermando l’egemonia di alcuni potentati e di alcune famiglie.
Ai vecchi podestà del periodo fascista successero i loro figli o persone a loro vicine e anche le nuove leve della politica emersero in un contesto di conservazione delle logiche egemoniche e settarie.

A quanti tentarono di far vacillare questo assetto con un’attività politica e sociale democratica e tesa a favorire il popolo e non le “congreghe” locali toccò una sorte di emarginazione e di violenza. Caso eclatante fu quello di Scotellaro: il poeta e scrittore lucano fu l’unico politico della sua generazione ad avere origini umili e la sua elezione alla carica di sindaco nel 1946 sembrò davvero riportare la politica agli interessi delle fasce più misere della popolazione. Il suo tentativo fu, però, stroncato dalle accuse di peculato che, sebbene infondate, gli costarono cinquanta giorni di detenzione nelle carceri materane. La denuncia mossa all’autore de “L’uva puttanella” rispose al preciso intento di screditare una figura amata dal popolo (in quanto autentica espressione di esso) e di punire il tentativo di rivalsa di chi osò ribellarsi a logiche che dovevano rimanere immutabili.

L’intento trovò in seguito piena realizzazione, anche grazie alla condiscendenza delle forze di opposizione e di una popolazione che aveva imparato a beneficiare dei vantaggi del clientelismo e del moderno paternalismo. I rituali dell’ossequio e dell’inchino offerto al politico di turno, che in una fase iniziale continuò ad essere ancora un avvocato o un medico, proseguirono con la mediazione del clero locale che svolgeva all’interno delle parrocchie un’opera di indottrinamento che, secondo i punti di vista, era religiosamente politico o politicamente religioso.

Durante il periodo fascista la Basilicata era stata terra di confino: ciò denotava in modo intrinseco un giudizio negativo da parte del governo centrale. La nostra regione doveva rappresentare una punizione esemplare per intellettuali e politici dissidenti che erano costretti ad abbandonare i loro ambienti di origine, vivi e stimolanti, per trasferirsi in un territorio con uno dei tassi di alfabetizzazione più bassi della nazione.

Dopo l’istituzione della democrazia, i tentativi di smantellare questo assetto furono minimi e le manovre economiche, applicate nella misura di svariate migliaia di miliardi, non generarono occupazione ma solo sprechi e polemiche vive ancora oggi.

L’unico vero volando economico della regione fu per cinquant’anni il clientelismo: la prassi comune era garantire al potente di turno pacchetti – voti in cambio di posti di lavoro presso enti pubblici o aziende private convenzionate. Questo semplice meccanismo fu appannaggio di tutta la politica e di tutti gli schieramenti, intenzionati a mantenere inalterato un equilibrio che garantiva la sopravvivenza di determinate figure ed apparati di potere.

Come si accennava, i personaggi in vista da cui dipendevano i destini di intere famiglie o addirittura di interi paesi, erano figure dotate di un’alta qualifica professionale (adesso, infatti, la catalogazione biunivoca tra medici ed avvocati cominciò ad allargarsi). Ciò ingenerava nella popolazione povera ed ignorante che si recava da loro (spesso carica di omaggi e doni in natura) in una sorta di pellegrinaggio laico, il timore reverenziale che si ha davanti a chi è più colto.

Interi clan familiari, desiderosi di abbandonare stenti e fatica nella campagne per una vita più agiata in città, legarono le loro sorti a quelle dei politici di riferimento, dando origine ad un culto di gratitudine trasmesso ai figli e al parentado. Culto che si estrinsecava secondo modalità ben definite e di retaggio quasi feudale, quali la visita di cortesia nello studio o nell’ufficio, l’invito a matrimoni, battesimi e cresime e piccoli favori e commissioni sbrigate sempre con solerzia e celerità.

Questo assetto ebbe modo di toccare l’apice all’indomani del disastroso sisma del 1980: secondo le stime riportate da Gian Antonio Stella, i miliardi stanziati dallo Stato per fronteggiare la crisi e per consentire la ripresa economica in Basilicata, Campania e Puglia furono ben 74.878. Assegnando alla nostra regione una porzione minima di questa cifra, si ottiene un risultato secondo il quale, per la creazione di ogni nuovo posto di lavoro dopo il terremoto, sono stati spesi circa tre miliardi per ogni disoccupato. Guardando i fatti è semplice notare come queste cifre sono servite a vantaggio più o meno esclusivo di determinate fasce della popolazione.

Ma è pur vero che questa logica clientelare, basata sul privilegio e sull’amministrazione privata del bene pubblico, ha contribuito ad arginare, almeno in parte, una falla nel sistema. A questi personaggi va reso il merito di aver aiutato persone in reale stato di bisogno e di aver portato un minimo di benessere in zone dove le lungaggini burocratiche ed i canali ufficiali dello stato di diritto non sarebbero mai arrivati con tempestività. In un’ottica distorta, si può affermare che, paradossalmente, la vergogna del clientelismo lucano ha sostituito il servizio pubblico.

Questo stato di compromesso che tutti hanno accettato e del quale, è bene ribadirlo, si sono serviti tutti i partiti politici, ha subito un forte scossone all’indomani del crollo della vecchia partitocrazia. In Basilicata il mutamento è stato forse meno traumatico che altrove, ma ha assunto aspetti ugualmente sostanziali.
La prima caratteristica lampante è stata l’emersione di nuovi volti: ciò in teoria avrebbe dovuto significare l’avanzata di nuove forze, ma il cambiamento è stato solo marginale. Eclissatisi (ma non del tutto e non fattivamente) i nomi storici della politica lucana, alcuni personaggi che per anni avevano militato nei vari partiti occupando ruoli marginali sono finalmente venuti alla ribalta. In pratica si è avuto l’accesso alla politica da parte di individui che non appartenevano a quella elite a cui si accennava, ma al loro entourage. Di conseguenza è crollato anche l’assioma secondo il quale i politici erano tutti professionisti. Pur continuando ad esserci un alto numero di laureati, le nuove leve della dirigenza rispecchiano un quadro sociale e professionale finalmente variegato e composito.
Se da un lato questo è un fattore positivo, perché, almeno in teoria, va ad infrangere tacite normative lobbistiche, dall’altro è pericoloso perché permette a persone spesso dotate di scarso bagaglio culturale e di trascurabili competenze tecniche di amministrare la cosa pubblica con un’imperizia facilmente immaginabile.

La fine della cosiddetta prima repubblica ha spostato l’asse del potere dalle personalità carismatiche ai partiti. La conseguenza più ovvia avrebbe dovuto essere la fine del clientelismo e dello scambio di voti; sfortunatamente, il clientelismo non è finito, ha solo mutato aspetto e beneficiari.
Se prima ad avvantaggiarsi della gestione di un personaggio politico potevano essere persone indigenti che gli offrivano il loro voto in cambio di lavoro, ora questa logica è saltata perché la nuova dirigenza rifiuta, almeno in teoria, la logica del voto di scambio perché svilisce la politica. Da un certo punto di vista, questa presa di posizione avrebbe dovuto riavvicinare alla politica e al dibattito chi se ne era allontanato proprio per la preponderanza di logiche clientelari; tuttavia non è stata offerta alla popolazione una adeguata alternativa al voto di scambio, anzi si è giunti al paradosso di una politica ancora più lobbistica perché a trarre beneficio del ruolo di qualcuno sono solo i membri del suo partito di appartenenza con il conseguente aumento del divario tra chi detiene il potere e chi lo subisce.

Con questo non si vuole auspicare il ritorno di logiche sociali e politiche che dovrebbero rimanere nel passato, ma invitare ad una riflessione serena ed obiettiva su un costume che ha coinvolto molti politici e molti cittadini, nella speranza che da essa possa scaturire uno stimolo al cambiamento.  

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