Cerca

Il Decreto Ronchi e la nuova gestione dei rifiuti

A seguito dell’articolo a firma di Antonio Profita (v. Lucanianet) sull’incerinitore “La Fenice”, desidero illustrare ai nostri lettori alcuni principi che reggono il sistema normativo di smaltimento dei rifiuti per dimostrare che determinate azioni, non solo offendono la natura e alterano il suo equilibrio, ma addirittura integrano illeciti amministrativi e penali. In Italia, l’innovazione è rappresentata dal Decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22, meglio noto come “Decreto Ronchi”.

Il provvedimento venne emanato in attuazione a tre direttire comunitarie: la 91/156/CEE sui rifiuti, la 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e la 94/62/CE sugli imballaggi e relativi rifiuti. Proprio per questa sua derivazione comunitaria, la nuova disciplina rompe completamente con la vecchia logica del Dpr n. 915 del 1982 tutta incentrata sullo smaltimento dei rifiuti.
Protagonista del Decreto Ronchi non è più lo smaltimento dei rifiuti, ma la sua gestione complessiva, articolata in 4 momenti fondamentalei: la raccolta, il trasporto, il recupero e, infine, lo smaltimento (che diventa solo una fase residuale). Il decreto 22/97 e successive modifiche (v. d.lgs. 389/97) fissa una gerarchia comportamentale con riguardo alla finalità che esso si prefigge: “assicurare un’elevata protezione dell’ambiente e controlli efficaci” (art. 2 comma 1).
Tale gerarchia individua tre Pricipi generali: prevenzione nella produzione dei rifiuti; recupero dei rifiuti; smaltimento.
Riveste carattere di priorità assoluta rispetto a tutto il resto la prevenzione.
Le autorità competenti, infatti, sono obbligate a fare tutto il possibile per ridurre la produzione e la pericolosità dei rifiuti. In secondo luogo, devono agevolare il reimpiego e il riciclaggio dei rifiuti, utilizzandoli anche come combustibile o come altro mezzo per produrre energia.
In questa struttura lo smaltimento rappresenta propro “l’ultima spiaggia” cui rcorrere avendo percorso le prime due.In particolare, i rifiuti solidi urbani (RSU) devono essere smaltiti in un ambito territoriale ottimale (ATO), l’impianto deve essere quanto più possibile vicino alla produzione dei rifiuti per limitare il più possibile la movimentazione sul territorio.
Per questi motivi l’art. 5 della legge afferma che:
” 1) dal 1 gennaio 1999 l’autorizzazione a realizzare e gestire nuovi impianti di incerenimento può essere concessa solo se alla combustione si associa il recupero energetico; 2) gli Rsu non pericolosi devono essere smaltiti nella stessa regione in cui sono stati prodotti; 3) dal 1 gennaio 2000 è consentito smaltire in discarica solo i rifiuti inerti, i rifiuti individuati da specifiche norme tecniche e i rifiuti che residuano dalle operazioni di riciclaggio”.
Da quanto esposto si evince, in maniera chiara, l’estrema importanza che il legislatore assegna alle fasi preliminari della raccolta e del recupero.

I dati diffusi dal ministero dell’Ambiente, purtroppo, fotografano ancora un’Italia a macchia di leopardo: un centro-nord più avanti rispetto a un sud che arranca sulla raccolta differenziata. Spero che queste poche nozioni siano tenute sempre in debito conto da tutti coloro che operano in campo ambientale.