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Il lavoro che non vuoi

Il fallimento della Lucana Calzature ha aperto un’enorme spaccatura nell’ambiente politico lucano ed acuisce i problemi lavorativi di una Regione sempre più in difficoltà sul fronte delle assunzioni e della stabilità.
Non c’è stato nulla da fare. Niente ha potuto arrestare la macchina invincibile dell’incertezza e dei timori verso la prossima e decisiva stagione occupazionale. Che ne sarà dei circa trecento operai una volta terminata la cassa integrazione? La loro sorte sembra essere sospesa sul filo del rasoio, mentre le forze politiche in campo giocano il tutto per tutto scambiandosi vicendevolmente i ruoli.
Chi risulterà più solidale nei confronti di chi ha perso il lavoro? Chi avrà giocato meglio le sue carte in campo elettorale? Diamo tempo al tempo.
Un anno è iniziato ed un altro è volato via, lasciandoci tristi resoconti.
Aumento inarrestabile del lavoro nero. Recenti indagini fatte sulle maggiori aziende locali, beneficiarie di sostegni pubblici, fanno sapere che mancano all’appello circa 14.000 lavoratori sui 35.000 previsti.
Un livello occupazionale riferito al settore industriale che ha contribuito più di altri alla revisione del tasso di disoccupazione ed ottimo indicatore sul fronte del lavoro nero.
Si passa dalla padella alla brace se si pensa all’ambito artigianale, dove si è profilata una tendenza negativa della produzione e del fatturato, addirittura superiore a quella rilevata a livello nazionale, o se si tenta di spiegare la crisi abbattutasi sull’Apof, l’Agenzia per l’orientamento e la formazione professionale, alle prese con una vera e propria lotta intestina tra pubblici e privati.
Ed ecco che ti trovi di fronte il lavoro che non vuoi, quello che non ti da tregua alcuna; quello che condensa nuvole scure sul nostro futuro e dei nostri figli; quello che ti chiude la porta in faccia senza darti spiegazioni. Quello usa e getta.