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Domanda e risposta con un’operaia

In seguito alla dichiarazione volontaria da parte della Lucana Calzature, le perplessità e le paure per la sorte dei 290 operai, una volta scaduta la cassa integrazione, sono molte. Per questo motivo, al fine di sensibilizzare i lettori dando il peso che merita questa vicenda, abbiamo voluto dar voce ad un’operaia, vicina al prepensionamento, nonostante i suoi cinquant’anni, con la speranza che questa testimonianza aiuti a far chiarezza sulla incerta situazione da noi più volte affrontata.

Da quanti anni lavora?
Ho iniziato a lavorare da giovanissima, all’epoca il lavoro a cottimo era duro ma responsabilizzava una giovane, e soprattutto educava al potenziamento della produzione; questa è stata la mia scuola e quella di altre operaie della Lucana Calzature, nonchè il principio lavorativo seguito in trent’anni di attività manifatturiera.

Per quanti mesi ancora percepite la cassa integrazione?
Con certezza per altri sei mesi, ma una nuova richiesta ne prevede dodici. Per noi rappresentano ancora una precaria soluzione, e non lo dico in mia difesa, che dopo trent’anni di lavoro ho la possibilità di avviarmi al prepensionamento, ma soprattutto per i miei colleghi più giovani, anche se continuano a tacere rassegnati.

Come la spiega lei la rassegnazione dei più giovani?
E’ stata una deludente scoperta per noi veterane, che in tanti anni di lavoro più volte siamo ricorse al Sindacato, ottenendo sempre risposte più o meno puntuali. Anni fa, c’era più voglia di migliorare; oggi non solo c’è rassegnazione nei più giovani, che non hanno sofferto come noi negli anni Sessanta per la conquista del lavoro, ma anche i Sindacati sono latitanti e meno efficaci e tutelanti.

Come si è posta e come si sono posti gli altri operai inizialmente verso questa ipotesi imprenditoriale, diventata poi Lucana Calzature?
Ci siamo subito lasciati coinvolgere dall’entusiasmo dei politici; ci veniva proposta come un’attività ambiziosa ed in crescita. La nostra posizione si capisce di più se si considera che eravamo da tre anni in mobilità, per il fallimento di Manifattura Maratea, dalla quale non abbiamo più percepito dieci milioni di lire residue (5164,57 euro); fummo così assorbiti da Lucana Calzature. Eravamo ottimisti ed entusiasti. Presto ci accorgemmo che non ci sarebbe stato un futuro per quella produzione scadente.

Erano rispettate le norme di tutela per il lavoratore?
Siamo stati accusati perchè dopo qualche mese di mancati pagamenti abbiamo iniziato a scioperare; siamo stati definiti inadempienti ed improduttivi dopo anni di dedizioni e sacrifici per il lavoro. Noi iniziammo a scioperare perchè i responsabili aziendali ci dicevano che la colpa del mancato pagamento era della Regione Basilicata. Avevamo resistito, fino a quel momwnto, lavorando in condizioni precarie e indescrivibili, non denunciandole; visitati spesso dai topi (Legge 626/94 sulla Sicurezza del Lavoro). Certamente, non ci sono mai state le condizioni per poter crescere e assai discutibili si presentavano i criteri di assunzione.

Cosa si augura per i prossimi mesi?
E’ stata da più parti criticata la nostra richiesta di aiuto ai politici. Molti di essi, propositivi inizialmente, hanno riconosciuto questo fallimento anche come un loro fallimento. Ciò non basta. Ci spettavamo una veloce stabilizzazione e in breve tempo. Nel 2001 di cassa integrazione non è stata studiata e discussa nessuna alternativa; tranne quando ad ottobre abbiamo occupato la Casa Comunale di Trecchina, e prima ancora, ad aprile, ci vennero a trovare i politici in prossimità delle elezioni, pronti a promettere immediate soluzioni.

Ci sono state alcune proposte per il futuro dell’Azienda? Ci sono stati dei fermenti politici? Non temete le strumentalizzazioni?
Si molto, e siamo diffidenti ma abbiamo anche bisogno di credere in qualcosa e/o in qualcuno. Molte famiglie vivono in condizioni disagiate. Il lavoro nero aumenta e vogliamo che i nostri figli crescano in una realtà diversa dalla nostra. Abbiamo creduto fermamente nella possibilità di cambiamento della nostra terra, ma purtroppo, l’individuo verrà sempre e solo considerato un potenziale elettore e non un dignitoso lavoratore.