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Les fleurs bleu

“Les fleurs bleu”: tra metastoria e ironia

“Secondo un celebre apologo cinese, Chuang-tzè sogna d’essere una farfalla; ma chi dice che non sia la farfalla a sognare di essere Chuang-tzè? E in questo romanzo, è il Duca d’Auge che sogna d’essere Cidrolin o è Cidrolin che sogna d’essere il Duca d’Auge? Un intervallo di centosettantacinque anni separa le apparizioni del Duca d’Auge nella storia. Nel 1264 incontra San Luigi; nel 1439 compra cannoni; nel 1614 scopre un’alchimista; nel 1789 si dedica ad una strana attività pittorica nelle caverne del Périgord. E finalmente nel 1964 avviene il suo incontro con quel Cidrolin che egli aveva sempre visto in sogno immerso nella più assoluta indolenza su di un barcone amarrato stabilmente a riva. Anche Cidrolin, dal canto suo, non fa che sognare… La sua sola occupazione sembra essere quella di riverniciare la staccionata lungo il suo tratto di banchina, imbrattata dalle scritte ingiuriose d’uno sconosciuto. Chi sia questo sconosciuto, lo si scoprirà come in un romanzo poliziesco vero e proprio. Quanto ai fiori blu…”
Così si può leggere nella nota di Italo Calvino al romanzo “I fiori blu” di Raymond Queaneau e lo stesso Calvino sostiene che tale commento, che si legge dal risvolto di copertina, nella prima edizione del 1965, è sicuramente di mano del linguista francese. Soltanto un “grande” come Calvino poteva “azzardare” la traduzione di un’opera di Queaneau e soprattutto di un libro come “Les fleurs bleu” .
“Appena presi a leggere il romanzo – continua Calvino – pensai subito: È intraducibile!… ma il libro cercava di coinvolgermi… mi tirava per il lembo della giacca, mi chiedeva di non abbandonarlo alla sua sorte, e nello stesso tempo mi lanciava una sfida”.
E per fortuna Calvino accettò la sfida!… Per fortuna per noi, naturalmente: non avremmo mai avuto, nella nostra vita, l’occasione di leggere e gustare un romanzo di tal fatta, in una traduzione mirabilmente magistrale da parte di uno dei più importanti ed estrosi scrittori italiani del ‘900. Il libro “cerca di coinvolgere”, appunto, e questo avviene fin dalle prime battute:
“Il 25 settembre 1264, sul far del giorno , il Duca d’Auge salì in cima al torrione del suo castello per considerare un momentino la situazione storica. La trovò poco chiara. Resti del passato alla rinfusa si trascinavano ancora qua e là. Sulle rive del vicino rivo erano accampati un Unno o due; poco distante un Gallo, forse Edueno, immergeva audacemente i piedi nella fresca corrente. Si disegnavano all’orizzonte le sagome sfatte di qualche diritto Romano, Gran Saraceno, vecchio Franco, ignoto Vandalo. I Normanni bevevan calvadòs…”
Oddio!…Ho dovuto rileggere queste poche righe un milione di volte e solo dopo aver letto molte pagine oltre, sono riuscito ad abbozzare una prima interpretazione del perché tutti insieme erano accampati “un Unno o due” e perché mai “i Normanni bevevan calvadòs”… comunque confido più nelle vostre capacità che non nelle mie e, quindi, dando per scontato che abbiate capito l’antifona e il gioco di parole vado avanti. Un caos tale: anacronismi, assonanze strane e sconvolgenti, incipit assurdo e precipitoso… tutto questo non è e non può essere scoraggiante, ma in una parola coinvolgente! Per questo fluida e facile continua la lettura, si costruisce una trama, si ride e si rimane sorpresi dalle ingegnose e pirotecniche trovate linguistiche e situazionali di Queaneau. I protagonisti sono due curiosi personaggi il Duca d’Auge e Cidrolin, com’è riportato sopra i due si sognano a vicenda, ma all’estrema frenesia e iracondia del primo si oppone l’indolenza smisurata dell’altro, sempre pronto a riposarsi dopo aver assunto una buona dose di “essenza di finocchio” (pernod). Le vicende dei due si incrociano solo nel sogno, scorrendo parallele ed inconciliabili a causa della distanza e dello scarto temporale notevoli (secoli). Fino ad un certo punto quando, andando contro ogni logica scientifica, l’autore li fa incontrare nel 1964 davanti alla chiatta di Cidrolin, che, pur non sembrando incredibilmente sbalordito dall’anacronistico e “onirico” incontro col Duca (e d’altronde neanche il Duca sembra esserlo), felice di vedere l’attore principale dei suoi sogni lo ospita volentieri non facendo troppe domande. Il romanzo serba altre innumerevoli sorprese: cavalli parlanti, discussioni sui massimi sistemi: che differenza c’è tra “la storia universale in generale e la storia generale in particolare?”; “graffitari” delatori di Cidrolin, i vari ed eccentrici personaggi…Ma che cosa succede in questa confusione storica terribile? Il Duca d’Auge riuscirà ad ultimare il suo viaggio durante i secoli? La storia universale finalmente finirà di essere sconvolta da scoperte sensazionali come quella dei graffiti dei “preadamiti” sulle pareti delle grotte del Perigord? Cidrolin riuscirà a scoprire chi imbratta la sua staccionata con messaggi ingiuriosi? Ma… chi lo sa?!…Ma Raymond Queaneau non ha scritto solo “I fiori blu” : ah, a proposito, ma che so’  ‘sti fiori blu? Boh… chi lo sa?!…Torniamo a noi: Queaneau, in realtà ha scritto molto e se “Les fleurs bleu” è il romanzo più strambo e visionario della sua produzione, altri scritti hanno rapito i lettori in veloci galoppate tra le righe delle loro pagine. Ricordo forse quello che è il suo capolavoro, “Zaziè nel metrò”, dal quale Luis Malle ha tratto un bellissimo film con un giovanissimo Philippe Noiret. È la storia rocambolesca di una pratica e disinibita ragazzina, che come intercalare usa “ca…” (vi lascio immaginare il resto) e che viene affidata allo “zione” Gabriel per qualche giorno, mentre la mamma sistema i suoi affari di cuore. L’unico desiderio di Zaziè e di visitare il “metrò”, ma…Un altro romanzo che colpisce è “Pierrot amico mio” dove il protagonista è un vero Pierrot: non quell’immagine sbiadita che abbiamo noi italiani della maschera carnevalesca con lacrimone penzolante, ma, in realtà, un bel tipo: disoccupato, mite, affabile, le vicende e gli avvenimenti gli scivolano addosso, ne è anche protagonista in alcuni casi, ma è e resta per tutta la narrazione spettatore acritico e osservante.
Di lui dirà Albert Camus:
“L’eroe del libro (Pierrot) è una creatura lunare a cui nulla riesce e che attraversa il libro con distrazione, munito di occhiali, di un centinaio di parole d’ “argot” e di un amore inconsapevole per le passeggiate solitarie… Questa fitta mescolanza della realtà più immediata e della più sbrigliata fantasia fa del romanzo di Queaneau un esempio notevole di quel fantastico naturale, così familiare a certi pittori, tanto difficile da evocare, invece per un narratore”.
Queaneau rappresenta un caso unico di una poliedricità sconvolgente: anche se durante gli anni aderì a movimenti culturali (surrealismo) legate a idee politiche e sociali, per distaccarsene in breve tempo, restò sempre estraneo e lontano dai fatti della mondanità. Sfruttando in modo incredibile le sue capacità letterarie e le sue conoscenze di linguista raffinato (“Esercizi di stile”), immerso nella modernità e nell’attualità dei suoi racconti, degli ambienti e dei loro paradossi (che solo la modernità può creare), ne evade, o meglio sono i protagonisti dei suoi romanzi che ne evadono, per cercare “I fiori blu”: il Duca d’Auge e Cidrolin sognandosi a vicenda; Zaziè mitizzando il metrò come luogo dei suoi desideri; Pierrot estraneo e fin troppo ingenuo ai giochi degli “adulti”. Pierrot, infatti, incarna, nella modernità, il pre-moderno, l’antico, il “romantico”. Nasce in un’epoca sbagliata, nel momento meno opportuno, sogna l’amore e si interessa a qualcosa di vecchio, di dimenticato, di morto; è l’unico a interessarsene, ma non vive nella sua età…I personaggi di Queaneau vanno alla ricerca dei fiori blu, come qualcosa di mitico: una Eldorado, una Città del Sole. Sono dei sognatori romantici che su una chiatta vanno alla deriva a bordo di una nuova Arca di Noè, con la speranza che quando le acque defluiranno e la terra riemergerà inizieranno a spuntare come per magia piccoli fiori blu…