Da marzo scorso, dal G8 di Napoli, ho deciso di andare a Genova nelle giornate del 20-21 e 22 luglio a manifestare il mio dissenso contro “la globalizzazione del capitale”.
Nei mesi precedenti ho vissuto a Roma per questioni di studio e nei gruppi politici che ho frequentato si è discusso dei vari motivi dell’evento. Fin dal principio ho percepito che questa volta non si trattava della “solita” manifestazione, ma di qualcosa di più: di più importante, di più esteso, di più “globale”.
Le tematiche affrontate dal movimento di protesta in occasione dei frequenti “summit” tra i potenti della terra hanno suscitato vive manifestazioni in tutti i settori della nostra società. Naturalmente il mio interesse per questi temi è stato fin dal principio molto forte: mi occupo di queste questioni, infatti, da qualche anno.

Il problema della “globalizzazione” inteso come: “Processo attraverso cui mercati e produzione nei diversi Paesi diventano sempre più dipendenti tra loro, a causa della dinamica di scambio di beni e servizi attraverso i movimenti di capitale e tecnologia” (fonte O.C.S.E.); mi ha portato a redigere un lavoro di ricerca, che, attraverso la forma dell’ipertesto, ormai è in continua evoluzione da due anni.

Tutti gli avvenimenti che hanno messo in ombra l’O.N.U. a vantaggio di vecchie e nuove organizzazioni: F.M.I., W.T.O., N.A.T.O., U.E. e hanno visto la proliferazione delle O.N.G., hanno testimoniato la sterilità dell’Organizzazione delle Nazioni Unite quando si tratta di affrontare questioni di importanza mondiale, come può essere un intervento militare.
Il monopolio del mercato mondiale da parte delle grandi multinazionali americane ed europee mi ha fatto riflettere intensamente su problemi come quello della “fame nel mondo”. Dibattito provocato, oggi, dal problema degli O.G.M. e del monopolio del “seme” di Monsanto e di poche altre multinazionali.
Con l’aggiunta della guerra tra Europa e W.T.O. sulla carne agli ormoni; il tema della “Remissione del debito”, che in realtà è un “credito”: un credito accumulato in secoli di sfruttamento da parte delle potenze coloniali occidentali; infine il problema del “sottosviluppo”, della forbice sempre più netta tra Nord e Sud del mondo.
Tutto ciò mi ha portato a documentarmi scrupolosamente su tali temi e maturando in me il seme del dissenso e della protesta contro gli abusi del capitale ho deciso di prendere parte alla manifestazione di Genova contro il G8. Tornato a casa da Roma l’unico gruppo che sarebbe partito per Genova era quello del “Basilicata Social Forum”, costituito pressocchè interamente da persone facenti parte del Partito della Rifondazione Comunista.
Mi sono aggregato a loro: non essendo tesserato e non condividendo interamente la linea del partito ho partecipato come “autonomo indipendente”. Come tale l’accoglienza è stata splendida: nel gruppo costituito da 10-15 persone che si conoscevano tutte fra di loro sono stato accettato da tutti: con grande amicizia da chi mi conosceva già e con cordialità ed entusiasmo da chi non sapeva chi fossi. Questo clima ha permesso che sia il viaggio di andata, che quello di ritorno siano stati piacevolissimi. Giunti a Napoli, però, sono arrivate subito notizie che ci hanno fatto raggelare il sangue: un ragazzo di 23 anni era morto in un scontro con la polizia. Sconvolti e storditi abbiamo riflettuto sulla possibilità del ritorno a casa per alcuni di noi, ma alla fine tutti abbiamo concordato che in quel momento drammatico a maggior ragione si doveva trovare la forza per andare a Genova a manifestare la nostra presenza.
Arrivati alla stazione ferroviaria di Quarto, la mattina del 21 luglio, i manifestanti scesi dai vari treni, giunti da tutta Italia, in silenzio, alla spicciolata, si incamminavano, mentre la tensione si respirava nell’aria. Il sole si faceva sentire: solo un elicottero della polizia rompeva quel silenzio irreale maturato in una notte di riflessione e di dubbi da Napoli a Genova.
L’elicottero continuava a sorvolare le nostre teste: presenza inquietante che dopo pochi metri che il corteo aveva percorso dalla stazione aveva scatenato urla e cori dei manifestanti, che dopo una notte insonne fatta di lacrime e ripensamenti scaricavano la tensione accumulata.
Il corteo costituito quasi esclusivamente da bandiere rosse e gruppi del P.R.C. o comuniste continuava ad andare avanti confluendo sul lungomare della città ligure. In lontananza vedevamo salire in alto del fumo: più in là, ad un chilometro c’erano degli scontri, la tensione cresceva, presto si trasformerà in paura e panico.

Nel frattempo arrivavano notizie: “Al Carlini sono assediati: non possono uscire! Passare parola”. Scosso dal messaggio chiamo alcuni amici di Roma, che avevo sentito la sera prima e con i quali ero stato attivo nei mesi precedenti, mi avevano detto che per passare la notte li avevano fatti accampare nello Stadio Carlini. “Fabio – grido: la conversazione è disturbata – dove siete? State bene? Ho sentito che il Carlini è assediato, è vero?”
“Guarda, noi siamo chiusi qua dentro da ieri sera, stanotte non siamo potuti uscire e non abbiamo tentato neanche di farlo, ma non ti so dire se siamo assediati o no, dall’interno non capiamo nulla!” Cresce l’ansia e la confusione…Arriviamo con il corteo dove avevamo visto quella nube di fumo; fa molto caldo e procediamo lentamente, alla rinfusa: subito tra i più acuti ed esperti capiamo che il corteo non ha nessun sistema d’ordine, né tanto meno organizzazione: la situazione è grave!…Francesco insiste per entrare nelle fila dei “Giovani Comunisti”, ragazzi più o meno tutti ventenni o giù di lì, armati esclusivamente della loro buona salute. Sono più organizzati di noi e di gran lunga più numerosi, hanno formato un cordone a chiudere gli argini del gruppo, alcuni sono muniti di maschera antigas e di occhiali da operaio, sono loro a fare il cordone!
Dopo qualche tentennamento entriamo al loro interno, un ragazzo sui 25 anni, con i capelli lunghi, impugna un megafono con la mano destra e detta chiare istruzioni: “A Piazza Kennedy ci sono gravi scontri, non si sa fra chi! Eviteremo Piazza Kennedy, quindi, e saliremo da Corso Sardegna. State attenti, formate delle fila unite, non disperdetevi e non abbiate paura!” In quel momento ci ricongiungiamo con l’altro corteo, che proveniva dall’altra parte della città: ci accorgiamo che a destra e a sinistra vi è uno spiegamento di forze di polizia incredibile. Qualcuno domanda perplesso: “Ma siamo sicuri che è questo il corteo e non quello azzurro?” Ci spingono, ci pressano, ci teniamo forti per mano e finalmente confluiamo su Corso Sardegna: il primo ostacolo è superato!
Il clima è teso non si intonano più cori e canzoni. Istintivamente mi giro: una, due, tre, quattro, cinque file, il cordone e poi?… e poi niente, il vuoto: chiudevamo il corteo! Guardo in lontananza: un esercito di celerini procede a 500 metri da noi, dietro di loro blindati e altri mezzi. Penso: “Ma è possibile che facciano chiudere il corteo ai Giovani Comunisti? E se caricano? Se succede qualcosa?” Si iniziano a sentire alcune voci che invitano alla calma: “State calmi, procedete ordinati e vi raccomando: non rompete le fila!”
La situazione si fa insostenibile: si odono urla soffocate, si accelera il passo. La ragazza che mi è vicina, neanche 17 anni, è tutto un fremito, trema e mi stringe forte la mano, cerco di rassicurarla con un sorriso, ma neanch’io, ormai sono più tranquillo. I poliziotti si avvicinano. Noi applichiamo sul viso fazzoletti, magliette bagnate. La CARICA!!! Inermi, vestiti di una maglietta e di un pantalone, vediamo pioverci addosso una miriade di lacrimogeni e fumogeni, la polizia si avvicina. Panico… lacrime e bruciore su tutto il corpo: lacrimogeni al peperoncino. Apro gli occhi per un istante, non vedo altro che fumo. Grida, spinte, il caos totale! Mi giro di nuovo e vedo i celerini avanzare a pochi metri con passo svelto, guardo in fondo e vedo i compagni che erano venuti con me fare il cordone! Istanti, secondi e capisco che la situazione degenera: mi rivolgo alla ragazza al mio fianco e grido: “Scappa! Scappa!”
La tiro violentemente per la mano correndo, mentre il corteo si disperde caricato dalla celere. Abbastanza lontani dallo scontro, mi fermo, guardo indietro, vedo un gran fumo, mi lacrimano gli occhi, guardo la ragazza e le chiedo: “Stai bene?”, mi fa un cenno con la testa. Vedo dietro due compagni di Rifondazione, insieme attraversando mezza città da soli e con l’insidia dei “Black Block” e della polizia ci ricongiungiamo al corteo.
Infine, alla stazione di Prignole aspettando il treno per rincasare giungono notizie inquietanti: “Hanno fatto irruzione nella sede del G.S.F., hanno massacrato tutti e distrutto il materiale, hanno menato anche Agnoletto e alcuni parlamentari!”Da un’altra parte si sente: “hanno incendiato la sede di “Indymedia”, distrutto il materiale e le memorie dei computer, arrestato tutti quelli che erano lì!”

Le notizie si accavallano, la tensione si mantiene alta…Si avvicina un compagno e bisbiglia a bassa voce: “Si prevede un arresto di massa!” Gerardo sbotta: “Ma basta co’ ‘ste cose, ma quale arresto di massa, finiamola!” Si sorride per un attimo, ma il clima è insopportabile, anche i più maturi temono che la situazione precipiti con la discesa del buio.
Finalmente è pronto il treno, sono le 2:00 – 2:30. saliamo e si parte: sento la testa pesante come un macigno e il nodo allo stomaco finalmente si scioglie.

0 Comments

Leave a reply

©2024 Associazione Promozione Sociale Lucanianet.it - Discesa San Gerardo 23/25 85100 Potenza CF 96037550769 info@lucanianet.it