Siamo stanchi di lasciar scivolare in amari silenzi fatti gravissimi come quello subito dai 300 operai della fabbrica “Lucana calzature”.
Non abbiamo paura di affrontare questo tema che si presenta immediatamente spinoso. Ve li proponiamo tutti i fatti, così come li abbiamo osservati per anni scorgendo spesso clientelismi di “politicanti professionisti” e contentini “tampone” espressione di una politica di assistenza a cui ci si è ormai arresi.
Ve li presentiamo tutti, come i pezzi di un puzzle e sarà la vostra intelligenza a completare l’opera di consapevolezza.
Nacque tre anni fa il “polo distrettuale delle scarpe” assumendo 137 operai provenienti da altre due esperienze industriali fallimentari; della Manifattura Maratea (con 90 unità riassunte) e della Siel di Lagonegro (con 47 unità riassunte).
Il primo imprenditore Cruciani si tirò indietro dopo meno di un anno di attività. Il secondo tentativo vide attivi nell’iniziativa gli imprenditori locali. Di queste due esperienze simili gli impiegati ricordano la mancata organizzazione lavorativa, la poca trasparenza amministrativa, la scarsa qualità dei prodotti, nonché i soliti ritardi di pagamento.
Ma questo non fece demordere i tanti operai che anche in quell’occasione si mostrarono tolleranti, nella speranza di riattivare una situazione lavorativa a nostro avviso già irrecuperabile.
Infatti a ritentare per la terza volta di arrestare l’emorragia ormai nel pieno della sua corsa vi fu il Dr. Camerlengo proprietario delle macchine non corrisposte impiegate nell’attività produttiva.
E’ in questo momento che avrebbe dovuto rappresentare un cauto risanamento, un lento miglioramento finanziario della azienda, vennero assunte altre 137 persone.
Come mai questa improvvisa decisione di raddoppiare il numero degli operai proprio in un momento così critico? Chi ha stabilito i criteri di assunzione? Ed è un caso che le nuove assunzioni siano coincise con una nuova “tornata elettorale”?
Poniamo domande lecite, qualcuno ci dia delle risposte.
Alle domande degli operai sono seguiti per mesi solo i silenzi dei “soliti noti”: politici che non si sono scomodati dalle poltrone dei loro Palazzi per dare le dovute risposte ai cittadini lavoratori che protestavano da Dicembre davanti ai cancelli dell’opificio del Passo La Colla.
Il nostro sfogo – e ci teniamo a specificarlo- non nasce per preservare il lavoro di alcuni politici a discapito di quello di altri; chi vi scrive si shierada una sola parte: quella dei lavoratori cittadini e vuol preservare solo i diritti sacrosanti del singolo ormai troppo sottomessi ad un sistema rigido che li rende deboli ed adattabili.
Ma per fortuna molti di quegli operai ormai stanchi di vedere scaricare le tante e varie responsabilità fra i diversi personaggi custodi di una torta sparita all’improvviso, hanno trovato la forza di ribellarsi e di intraprendere una vera e propria lotta sociale.
E ci teniamo a specificare che protagoniste di questa lotta sono state soprattutto donne di mezza età che hanno dato sostegno ai tanti giovani che invece sono risultati al confronto meno combattivi.
Con rammarico raccogliamo i momenti di una “realtà ferma” che ci è presentata in movimento solo da qualche decifrabile parola del linguaggio politico, che propone programmi puntualmente ingoiati dal vento.
Rispettiamo il lavoro di ognuno. Ma che fine hanno fatto le tante promesse di tre anni fa, e con quali criteri è stata valutata questa attività presentataci allora come ambiziosa?
E’ il momento di riflettere e lo chiedo soprattutto ai giovani che spesso si accontentano del “poco e subito” per poi ritrovarsi persi, nei sentieri contorti del malgoverno, a ricercare ossigeno nel lavoro nero.
Vi chiedo di riflettere sul futuro, che dati i criteri di scelte azzardate, si presenta difficile e privo di prospettive. E’ il presente del lavoro che costruisce il domani produttivo. E questo sapere gli operai e le operaie che in trasferta a Potenza si sono incatenate davanti ai palazzi del Potere, lo hanno maturato da decenni di fermi, di riprese, di promesse, di sottomissione a diverse facce di potere.
E vorrei ricordare a tutti che la difesa più efficace, contro i fenomeni indegni di una società civile, consiste nell’affermare la propria dignità di uomini liberi e coscienti, rifiutando compromessi e ragionando sempre con la propria testa.
Oggi 17 Febbraio abbiamo assistito all’incontro tenutosi in una sala dello stabile ormai abbandonato e privo di elettricità, fra i Sindacati e gli operai.
Dal Resoconto della Riunione di Roma del 15-02-01, presieduta dall’On. Borghini e introdotta dall’Ass. Altobello della Regione Basilicata, apprendiamo che è stato esaminato lo stato di crisi in cui versa l’azienda Lucana Calzature S.r.L.
L’azienda è ormai al tracollo. Sono 18 i miliardi di passivo, divisi fra banca del Materano, banca Mediterranea e fornitori: A soli 2 miliardi ammontano, invece, gli immobili.
Come risolvere la grave crisi economico-finanziaria in cui versa l’azienda, che al momento ha anche sospeso l’attività?
A Roma si è arrivati ad un accordo temporaneo: “l’azienda ha inoltrato nel mese di Gennaio 2001 domanda di cassa integrazione per crisi aziendale al fine di individuare concrete possibilità di garantire almeno parzialmente livelli occupazionali in atto”.
Le parti saranno riconvocate dall’On. Borghini entro il mese di marzo 2001 per verificare nuovi sviluppi.
I Sindacati questa mattina hanno esordito dicendo: “non è una vittoria ,ma nemmeno una sconfitta. E’ una camomilla che vuol dare tregua e ristoro mantenendo a distanza i lavoratori”.
Va rivelato però il ragguardevole superamento del provvedimento della messa in atto della liquidazione che si presentava come imminente fino a qualche giorno fa.
All’azienda è stata chiesta collaborazione e nuova volontà di ricercare soci che la mettano in condizione di superare la crisi.
Ma come sperare ancora? Come si può dare totale fiducia ai soliti attori che cambiano solo l’atto di uno stesso spettacolo?
Vogliamo ancora crederci, vogliamo sperare in quei politici che malgrado tutto abbiamo votato noi stessi, non assistendo più però in modo passivo all’arrivata di “sparvieri” e alle “promesse” non analizzate con diligenza.
Chiediamo agli operai e alle operaie in lotta, che potremmo definire “donne coraggio”, cosa pensano dei provvedimenti calati da Roma: “non siamo soddisfatti, anche se la prospettiva della liquidazione si presentava ancora più dolente. Noi siamo lavoratori e lavorare è quello che ancora vogliamo. Non cerchiamo una politica di assistenza come fine vogliamo il lavoro per noi e per i giovani”.
Tiriamo le somme di un triste bilancio scandito da tante domande e rare smilze risposte di alcuni. Il Dr. Camerlengo sostiene che le responsabilità non siano da attribuire tutte a lui , e se sarà costretto a dichiarare il fallimento presenterà un dossier con i nomi dei colpevoli di “facili promesse”.
I Sindaci del Noce, invece, denunciano l’azione delle banche poco stimolante e funzionale per lo sviluppo.
In questo lungo articolo abbiamo tentato di riportare alla ragione chiarificatrice i tanti frammenti distorti di questa realtà lavorativa. Scusateci se l’impeto ha reso quanto riportato sopra poco comprensibile, ma il rammarico di noi giovani viene spesso ignorato.
Come credete che ci si senta proiettati a vent’anni in una realtà così “costretta”? Non rappresenta solo un difficile momento di identificazione coi diversi aspetti di un amaro scenario, ma anche un momento disturbante nella crescita del singolo costretto ad altalenare fra i tanti ideali e il reale di sfiducia generale.
Il risultato di queste valutazioni porta direttamente alla presa di coscienza dura dell’esigenza di una crescita culturale e politica ancora lontane, e spetta soprattutto a noi giovani il compito di divenirne portatori e sostenitori.

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