TRECCHINA– Solitudine e indifferenza. Indifferenza e solitudine.
Risulta difficile dare la priorità ad uno dei due significativi termini coi quali inizia questo articolo. Entrambi, infatti, si fondono in un gioco di fondo-sfondo. La storia del sessantasettenne Nicola Chiarelli di Trecchina vede protagonista un uomo benestante e non un “barbone elemosinante” alla cui trama finale verrebbe più facile credere. Ed ha come palcoscenico la vita di paese silenziosa e impercettibile nei mutamenti, e non quella metropolitana affannosa e caotica.

Nicola Chiarelli uomo dall’aria nobile, dal sorriso cortese che è solito passeggiare nella piazza del suo amato paese, sparisce un bel giorno senza destare particolari preoccupazioni in parenti e amici abituati ai suoi frequenti e improvvisi viaggi. Questa volta, però, passano i giorni e addirittura i mesi e del suo viaggio fantasma non si hanno notizie. Qualcuno inizia ad insospettirsi, ma i più vicini ritengono di non dover nutrire i sospetti di sostanziale preoccupazione. Fino a quando il sindaco Ludovico Iannotti non decide, nel pomeriggio di mercoledì 7 Marzo, di entrare in casa del cittadino “scomparso” con l’ausilio delle forze dell’ordine e assumendosi ogni responsabilità legata ad un eventuale “ritorno”. Stupore. Meraviglia. Sbigottimento.
Il corpo viene ritrovato privo di vita in avanzato stato di decomposizione. La morte si fa risalire con molta probabilità a due tre mesi almeno. Dunque la morte si è consumata per mesi serrata nelle quattro mura di una dimora.

La riflessione è un dovere umano e morale.
Siamo di fronte al noto grande male della solitudine. E non è difficile immaginare quanto profondo debba essere stato, ascoltando le frasi che vengono fuori dallo sgomento comune. Si parla di “stranezza” e di “personalità singolare”: parole che rinchiudono, ancora, l’abisso che separa un uomo dall’altro. Un paese Trecchina, che pur narrando nelle pagine della sua storia azioni nutrite da una culturale solidale e dignitosa, non può non riflettere oggi sulla natura sinuosa dell’indifferenza e sul tepore malsano che spesso avvolgono inconsapevolmente. La necessità dello scambio umano viene sempre più di frequente sconfitta nei suoi propositi. Non è certo la conquista di spazi “privilegiati” nelle pagine di cronaca regionale, che ispira la scrittura, ma il bisogno di conoscere e riflettere i mali del nostro difficile tempo, che trovano risonanza anche nei nostri paesi, celati dalla soavità della quiete.
Non parlare, non raccontare in questi casi significa lasciar scivolare la consapevolezza ancora nell’indifferenza, e dar ragione al significato di una vecchia frase di Guccini che dice : “se sempre l’ignoranza fa paura, il silenzio è uguale a morte”.
Raggela il pensiero che quest’uomo rimasto definitivamente solo dopo la scomparsa della madre, non avrà mai sulla sua tomba una data che specifichi con esattezza il giorno della sua morte. Segno ulteriore, questo, di una diffusa tendenza di abbandono alla sola esistenza. Non serve puntare il dito. Serve, però, il sentirsi in colpa come estremo tentativo di riportare un po’ di dignità alla vita.
Già, la vita, che i fatti rapiscono con spasimi acuti ma dalla quale traiamo ancora la linfa, la forza virile, per riconoscerci uomini bisognosi di amarla, non arrendevoli a sentimenti che piegano l’animo e che vorrebbero identificarla necessariamente col male.

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