Ma secondo Friedman questa generazione è immobile, statica, abituata alla comodità, poco innovatrice e molto poco concreta. Una generazione che trova nel web il suo luogo di aggregazione e di discussione. Che nei social forum, attraverso i blog o altri luoghi di discussione e partecipazione, trova lo spazio per il proprio impegno. E questo atteggiamento molto passivo genera qualunquismo ed antipolitica. Perchè a questa generazione manca l’azione collettiva, manca il fare e l’essere. Per questo lo stesso Friedman esorta i quieti proponendo una sorta di “ritorno al futuro” perché Martin Luther King e Robert Kennedy- dice-  non hanno cambiato il mondo chiedendo alla gente di sottoscrivere una crociata su Facebook o scaricando piattaforme dal computer, e consiglia a questa generazione di mettere da parte le email, le petizioni online e i click del mouse e di organizzarsi, scendendo numerosissimi nelle piazze. Invoca quindi una nuova “rivoluzione”, una nuova scossa di idealismo, attivismo ed indignazione. E come dar torto a Friedman? Solo che non sempre i moti spontanei ed i Masaniello hanno efficacia.  Se pensiamo all’Italia ed ai movimenti politici, di opinione, nati dal basso il primo pensiero che viene in mente è senza dubbio quello del popolo della V, i grillini per intenderci. I fun del comico genovese che per dare un chiaro messaggio alla politica italiana e per chiedere ai politici italiani un cambio di fase e di passo hanno pensato bene di proporre prima di tutto una località, dal nome molto simile ad una parte del corpo, dove poter trascorrere il resto del proprio tempo. Atteggiamento questo sbagliato e poco produttivo perchè si sa, nel vaffa c’è un sentimento di chiusura e non di novità, di innovazione.

Ma, per fortuna, non c’è solo il popolo della V. C’è dell’altro in questa quieta generazione che cova rabbia e malessere come una polvere inquieta sotto il tappeto. Ci sono le marce per la Pace, i movimenti studenteschi in piazza per dire no all’idea di scuola della Moratti o di Fioroni. Ci sono anche i tanti giovani lucani scesi in strada per dire no alle Scorie e si ad una Basilicata che sa credere ed investire nel proprio futuro. C’è insomma in questa quieta generazione una forma nuova di impegno che non è continuato nel tempo ma sporadico e immediato. Come appunto un flashmoob. Ma ciò non vuol certo dire che questa generazione non sia appasionata. Questo non vuol dire che non ci sia interesse. Anzi. Quello che è cambiato è l’approccio. Il nuovo modo di fare azione, di essere attivi che ci da un po’ l’idea di come sia cambiata la società stessa.

Ed il cambio di paradigma richiesto dalla società ha anche un impatto nella Politica e nelle sue forme. Pensiamo allo strumento del blog, che anche se spesso si corre il rischio di mitizzarlo, è un esempio di come- grazie alla rete- possa svilupparsi una nuova forma di partecipazione alla politica. Una partecipazione che può essere fuori dalle sezioni, fatta dall’ufficio o nella notte e che esercita in misura crescente la sua influenza. Finora la politica si è confrontata con la rete cercando “un nuovo sbocco al mare” dell’audience televisiva, quando invece si dovrebbe pensare che la rete può essere uno strumento più potente se la si usa rispettando le sue caratteristiche e valorizzandole.
Più in generale, la politica deve fare i conti con una società più articolata e policentrica, dotata di una elevata soggettività, ricca di intelligenze e di opportunità, ma anche più opaca e più difficile da penentrare con le categorie classiche del pensiero politico.  E’ necessario un nuovo slancio da parte dei partiti attraverso una ripresa di attivismo culturale e sociale per far fronte comune e rendere possibile il governo delle trasformazioni sostanziali che antepongono l’interesse generale a quello particolare, specie in un paese con un sistema informativo fragile e una pressione forte di interessi corporati e conservativi.

E spetta anche alla politica apportare una vera rivoluzione del proprio modello organizzativo. UN modello che sappia coinvolgere, in modo innovativo, soprattutto la generazione Q. Pensiamo ad esempio al Pd, un partito che seppur nuovo, nasce con una grandissima partecipazione popolare; ma solo il 12% degli elettori alle primarie ha meno di 30 anni, mentre il 40% ne ha più di 64. Ciò delinea uno squilibrio piuttosto rilevante rispetto alla società. Visto che la componente compresa fra 18 e 29 anni costituisce il 19% dell’elettorato, quella con oltre 64 anni il 22%. Dunque, anche se neonato, il Pd rivela un volto un po’ attempato. Ma i sondaggi suggeriscono qualche difficoltà anche sul piano elettorale. Tra i giovani con meno di trent’anni (sondaggio Demos-Eurisko, 16-18 ottobre 2007), infatti, il Pd è stimato circa 4 punti percentuali sotto la media generale. Fra coloro che hanno più di 64 anni, invece, è quasi 10 punti sopra la media. Dunque, il “nuovo” Pd stenta, per ora, ad attirare i giovani. Eppure i giovani sono sempre gli stessi. Sono quelli che si indignano verso una politica poco chiara e trasparente, quelli che si interessano di ambiente e di lavoro e che partecipano in maniera convinta a manifestazioni collettive (di protesta e di solidarietà). Ma la distanza c’è e diventa sempre più larga nel momento in cui è il linguaggio della politica a farsi diverso e distante da quello della società e delle giovani generazioni. Un linguaggio spesso sbagliato o poco comprensibile ai più.

Spetta quindi alla politica rinnovare se stessa per leggere ed interpretare la società dell’oggi, ma ha ragione Friedman quando incalza questa generazione chiedendole un impegno vero, che si tocchi, e non virtuale. L’attivismo può funzionare solo alla vecchia maniera perché la politica virtuale è, appunto, soltanto quello. Virtuale.

Articolo di Sergio Ragone [blog]

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