Le opere programmate interessano i territori dei 30 comuni sui quali ricadono i pozzi petroliferi ed avranno il compito di ridurre gli impatti delle attività di produzione di idrocarburi sulla biodiversità, di migliorare i boschi esistenti, di favorire la creazione e l’adeguamento di infrastrutture per rendere fruibile il bosco dal punto di vista turistico e ricreativo. Nel merito, l’assessore regionale all’Ambiente, Santochirico, afferma che “La presenza di efficienti sistemi forestali nelle adiacenze delle aree di estrazione, con il suo ‘effetto-filtro’ riduce i gas e le polveri prodotti dalla combustione […]”. Meno male che non si sia pensato a ritinteggiare le trivelle di verde per ammortizzare l’impatto visivo. Potremmo essere d’accordo con lo scenario ipotizzato dall’assessore, se considerassimo l’operazione “più pozzi = più alberi” una lineare equazione matematica, al di là del tempo e dello spazio, sperimentata in vitro senza condizionamenti esterni. Ma, purtroppo, siamo di fronte ad opere invasive che hanno il carattere dell’irreversibilità e dove il tempo è un dato reale e certamente considerabile. Il nostro ecosistema, soggetto per anni a sollecitazioni disarmoniche è stato privato dell’equilibrio ambientale ed ogni intervento conseguente, come ad esempio un possibile rimboschimento, per avere il citato effetto-filtro – rivolto a ristabilire un certo equilibrio – necessita di passaggi quasi epocali indispensabili per mirare al soddisfacimento del concetto di sostenibilità ambientale, che vuole delle generazioni future le destinatarie della complessiva vivibilità. Invece, stiamo assistendo ad un puro esercizio contraddittorio; basti pensare che mentre “oggi” si parla di far aumentare la densità boschiva regionale, “ieri” si sono autorizzati tagli e contro-tagli in virtù dei piani di assestamento forestale.

E poi in questi anni – diciamola tutta – la Basilicata ha dato tanto in termini di compensazione ambientale rappresentando un contributo importante per l’intero fabbisogno energetico nazionale derivanti da fonti fossili, ottenendo in cambio il solito “piatto di lenticchie”, perentoriamente entrato a tutti gli effetti nella cucina tipica lucana. Anche perché – è bene ricordarlo – i risvolti occupazionali derivanti dalle attività estrattive sono esigui, dato il loro alto contenuto tecnologico (pochi i lucani, pochi presso i pozzi, pochi gli addetti diretti presso i due Centri Oli di Viggiano e Corleto Perticara ed, infine, i “bisonti del petrolio” stanno per essere sostituiti del tutto dai tubi degli oleodotti). Se gli obiettivi sono quelli della compensazione ambientale in nome della sostenibilità, perché non puntare allora all’investimento delle royalties nelle fonti rinnovabili? Il solare termico ed il fotovoltaico, assieme al risparmio energetico, potrebbero essere le soluzioni, considerando anche che il nostro “motore eolico regionale”, tra il ridisegno del Piano Energetico e i sequestri della magistratura a iosa si è inceppato. Oppure, avvalendosi dell’Art. 15 della Legge 394/91, perché non si incentivano i comuni interessati a non effettuare disboscamenti? Intanto, l’assessore Santochirico – intervenuto nuovamente sulla stampa – rassicura tutti sia sui permessi di ricerca richiesti dalla Shell sia sull’istituzione del Parco dell’Appennino Lucano-Val d’Agri Lagonegrese, i cui ritardi (sempre secondo Santochirico) rientrano in una tempistica normale: 15 anni! Ritardi normali, solo se adottassimo come metro di paragone la realizzazione e l’adeguamento dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria.

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