Agli inizi del secolo scorso la crescita del “capitale tangibile” (inteso come macchinari, strutture fisiche, etc.) per ora lavorata contribuiva per i due terzi all’aumento della produttività del lavoro; tale contributo si è ridotto, alla fine del ventesimo secolo, ad un quinto. La causa di ciò è da ritrovarsi, appunto, nella crescita del cosiddetto “capitale intangibile”, costituito dal capitale umano, culturale e professionale (da un punto di vista quantitativo, già nel 1990, negli Usa, il capitale intangibile era pari a 32.819 miliardi di dollari mentre quello tangibile pari a 28.525).
Istruzione: input del capitale umano. L’istruzione contribuisce positivamente alla crescita del capitale umano, tanto che si stima che il contributo possa oscillare tra il 15% ed il 25% della crescita complessiva.
Il livello di istruzione nei paesi dell’Ocse. La scuola di base obbligatoria, secondo i dati dell’Ocse, vede una partecipazione totale in tutta l’Europa. Il divario è minimo anche per quanto riguarda la scuola secondaria superiore (i giovani inseriti in un regolare percorso di istruzione tra i 15 e i 19 anni sono, in Italia, il 77,8% contro il 79,4% dei paesi Ocse e l’81,3% della Ue). La situazione diventa decisamente diversa se si considera la partecipazione ad attività formative di persone che hanno venti anni e oltre: la media dell’Ocse, infatti, ha un tasso di partecipazione ad attività formative da parte di persone appartenenti a questa fascia di età pari al 22,7%. Da questo numero l’Italia si discosta di circa 4 punti percentuali (19,3%) L’Italia, inoltre, si caratterizza per una bassissima percentuale di adulti che hanno potuto compiere un processo formativo adeguato al ruolo che attualmente ricoprono. Ciò è da attribuirsi al forte ritardo con cui si è cominciato a predisporre interventi di riqualificazione ed aggiornamento per la popolazione di età adulta.
La media dei paesi dell’Ocse presenta una percentuale di laureati di età compresa tra i 25 ed i 65 anni pari al 24%, in Italia tale percentuale è pari al 10%. Inoltre, il nostro Paese sembra essere ancora lontano dagli obiettivi che Lisbona aveva posto in termini di persone adulte (25-64 anni) coinvolte in attività di istruzione e formazione (il 12,5% nel 2010): secondo i dati Istat, infatti, la quota di popolazione adulta in formazione in Italia è pari solo al 6,3%.
Titolo di studio e tasso di disoccupazione. Nei paesi dell’Ocse, il tasso di disoccupazione risulta essere particolarmente elevato per coloro che rientrano in una fascia di età compresa tra i 25 e i 64 anni che non hanno completato la scuola secondaria superiore (10,4%). Questo vale per l’Italia (9,4%) ma anche per la Germania, la Polonia, l’Ungheria, la Repubblica Ceca e la Repubblica Slovacca. Con il completamento della scuola superiore, il tasso di disoccupazione si riduce, nella media dei paesi dell’Ocse, tra i 4 e i 5 punti percentuali (da 10,4% a 6,2%). Anche per l’Italia in questo caso il tasso si riduce di circa 3 punti percentuali. Particolarmente significativo è anche l’impatto del titolo di studio terziario: nella media dei paesi dell’Ocse, il tasso di disoccupazione scende del 3,8%, mentre nel nostro Paese si registra solo una lieve diminuzione (da 6,1% a 5,7%).
Domanda e offerta di competenze. Il confronto tra domanda e offerta di competenze conferma il divario, presente nel sistema economico italiano. Per circa il 75% degli occupati vi è corrispondenza tra titolo di studio conseguito e professione esercitata. Il rimanente 25% è caratterizzato per un 9% da un inquadramento più qualificato rispetto al titolo di studio conseguito e per un 16% da un inquadramento meno qualificato rispetto al titolo di studi conseguito.
Gli individui che svolgono un lavoro adeguato rispetto al titolo di studio conseguito sono, in prevalenza, imprenditori, gestori e responsabili di piccole aziende che svolgono una attività in proprio da diversi anni.
Coloro che hanno la fortuna di svolgere un lavoro “sovrainquadrato” sono, per la maggior parte, persone (prevalentemente uomini) che hanno iniziato a lavorare da diversi anni (più di 10 in più del 50% dei casi) e che hanno compiuto percorsi alternativi a quello dell’istruzione formale acquisendo le competenze necessarie a svolgere l’attuale lavoro. Questo fenomeno si verifica soprattutto nell’ambito di professioni riguardanti il controllo di gestione, l’informatica ad alta specializzazione ed il comparto artistico (pittori, registi, ecc.).
Infine, i lavoratori “sottoinquadrati” sono (in più del 50% dei casi) giovani fino a 34 anni che sono entrati nel mondo del lavoro da meno di cinque anni.
Il capitale umano sottoutilizzato: entità e caratteristiche. In Italia, i soggetti che svolgono un lavoro meno qualificato rispetto al titolo di studio posseduto sono 3,7 milioni. Di questi, i 2/3 possiedono il diploma di scuola secondaria superiore e i rimanenti la laurea o un titolo di studio superiore.
Per quanto riguarda la posizione ricoperta dagli occupati, i lavoratori dipendenti risultano essere “maggiormente sottoutilizzati” (30,4%) rispetto ai lavoratori autonomi (19,5%) e ciò è ancora più evidente se si prendono in considerazione i laureati (14,4% contro il 37,6%). È comunque vero che, nell’ambito dei lavoratori dipendenti, l’incidenza dei sottoinquadrati è fortemente dipendente dalle dimensioni dell’impresa: tanto più piccola è l’impresa, tanto maggiore è il numero dei sottoinquadrati. L’incidenza percentuale dei sottoinquadrati risulta essere, nel 2005, pari al 39% per le imprese che hanno meno di dieci dipendenti e pari al 27,6% per le imprese che hanno un numero di dipendenti superiori a 10. Tutto ciò, probabilmente, perché nelle realtà più piccole i singoli lavoratori ricoprono più mansioni, anche quelle di livello inferiore.
Inoltre, il 4,8% degli occupati a termine, il 34,5% di quelli in part time ed il 31,1% dei lavoratori con rapporti di collaborazione sono impiegati in lavori poco qualificati. Per i giovani di età inferiore a 34 anni, l’incidenza dei lavoratori sottoinquadrati nell’occupazione a termine raggiunge il 47,4%.
Capitale umano, culturale ed intellettuale nelle diverse ripartizioni geografiche del nostro Paese. Le persone in età da lavoro che emigrano dal Mezzogiorno verso il Centro-Nord sono generalmente più istruite e più giovani di quelle rimaste nella regione di origine: il 25% ha una laurea, rispetto all’8% della popolazione residente nel Mezzogiorno (Banca d’Italia, 2005).
I lavoratori diplomati sottoinquadrati trovano la maggiore incidenza nel Mezzogiorno e la minore al Nord (rispettivamente il 31,4% e il 23,3%). Tra i laureati, al contrario, il fenomeno è significativamente più diffuso al Nord (35,3%, a fronte del 25,1% nel Mezzogiorno). In quest’ultimo caso è importante sottolineare come questo dato sia una conseguenza non di maggiori opportunità per i laureati nel Mezzogiorno ma di opportunità occupazionali in professioni tecniche e di media professionalità nelle regioni del Nord. Ciò significa che nelle regioni del Sud i laureati che non trovano un’occupazione in professioni specialistiche rischiano di rimanere disoccupati. Nel complesso i laureati risultano disoccupati nel Mezzogiorno nel 32,7% dei casi; nel Nord, tale percentuale scende al 22%.

“OUTLOOK” Uno sguardo fuori regione
Rubrica di scienze economiche e sociali
a cura di Rosario Palese
(ISSN 1722-3148)

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