La Cattedrale di Acerenza, città che fu sede vescovile fin dal VI secolo, è uno dei monumenti più insigni della Basilicata. Secondo le cronache del Protospatario e del Salernitano, la fondazione della cattedrale risale all?XI secolo. La sua costruzione ebbe inizio nel momento in cui il Vescovo Godano, figura di spicco al Concilio di Melfi del 1059 e legato agli interessi dei Normanni di Roberto il Guiscardo, ottenne dal Papa Nicolò II il titolo di Arcivescovo Metropolita e la Diocesi fu elevata ad Arcidiocesi Metropolitana.

Fu allora che Godano, grazie ai generosi finanziamenti di Roberto, diede inizio all?edificazione della Cattedrale, che doveva essere degna del nuovo e più importante ruolo del Vescovo e della Diocesi. Tuttavia fu l’Arcivescovo Arnoldo, divenuto Pastore nel 1067, a continuare i lavori, utilizzando maestranze locali, dirette da architetti francesi che seguirono i riferimenti architettonici del monastero benedettino di Cluny. Fu lo stesso Arnoldo nel 1080 a consacrare il nuovo maestoso Tempio, dedicato a Santa Maria Assunta e a San Canio, le cui reliquie vennero ritrovate in quello stesso anno, durante i lavori di ripristino e di ampliamento.

La Cattedrale grandiosa e severa, realizzata in stile romanico ? normanno presenta una pianta a croce latina. L?area su cui sorge, il punto più alto dell?abitato a 833 metri d?altezza, ospitava una Chiesa Paleocristiana, a sua volta innalzata sul luogo dove si ergeva un tempio pagano dedicato ad Ercole Acheruntino. Nel nuovo edificio, sia all?esterno che all?interno, sono riscontrabili alcune dei resti della primitiva chiesa e del tempio.

Nella facciata, fortemente rimaneggiata, si distingue un elegante portale d?ingresso, in stile romanico-pugliese, racchiuso da due colonnine di marmo che vengono sorrette da mostruose figure animali intente a divorare esseri umani. Gli stipiti della porta sono riccamente decorati con fantastiche e grottesche figure zoomorfe e motivi floreali. Sul portale, al di sotto del grande rosone, spicca lo stemma marmoreo dei Conti Ferrillo, responsabili a metà Cinquecento del restauro della facciata e del possente campanile a torre.

L?esterno. La muratura esterna è compatta e presenta un unico motivo decorativo, dato dal coronamento di archetti pensili di stile lombardo che si susseguono lungo il perimetro superiore. La zona orientale dell?edificio è animata esternamente da un complesso gioco di rientranze e sporgenze che ne rivelano l?articolata planimetria. Al gioco dei volumi concorrono due torrette cilindriche, tramite le quali si accede alla cupola. Essa fu ricostruita dopo il terremoto del 1930. Di forma ottagonale, è posta al culmine dei magnifici bastioni dei transetti e delle absidi.
Sulla parete che va dalla prima alla terza absidiola sono incastonate quattro colonnine marmoree: sono i frammenti dell’antico ciborio della Chiesa Paleocristiana.

L?interno. Il corpo longitudinale è diviso in tre navate da due serie di archi a tutto sesto retti da semplici pilastri in muratura. La copertura è a capriate, restituite nel restauro. La struttura del braccio longitudinale è stata alterata dai rimaneggiamenti del?500; la zona che meglio conserva i suoi caratteri d?origine è quella dell?abside. Da non perdere, nel transetto destro un grande polittico, formato da un quadro centrale rappresentante la Madonna del Rosario, circondato da quindici tavole con i Misteri. Il dipinto, in olio su tela, risale al 1583 ed è opera di Antonio Stabile, autore anche della Deposizione nel transetto sinistro (1580). Molto interessanti anche le decorazioni e le statue delle tre cappelle radiali nel deambulatorio.

La cripta, consacrata nel 1524, è un?interessante testimonianza dell?arte rinascimentale della regione, e dei riflessi che su di essa esercitò l?architettura napoletana. Essa fu voluta e finanziata dal Conte Giacomo Alfonso Ferrillo e dalla Consorte Maria Balsa di Gravina prozia di Papa Orsini. Di forma quadrata è divisa in tre navatelle da quattro colonne in marmo. Una ricca decorazione pittorica copre interamente la volta. Al centro della parete di fondo, dietro l?altare vi è il sepolcro marmoreo dei coniugi Ferrillo. Il sarcofago è abbellito sul fronte da quattro putti che reggono un festone con lo stemma della famiglia.

Diverse opinioni sono state espresse sull?attribuzione delle sculture, che sono comunque riconducibili all?ambiente degli artisti lombardi attivi a Napoli tra la fine del XV e l?inizio del XVI secolo.

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