Da una decina di giorni il popolo lucano sta combattendo un?altra battaglia. E? il popolo dei lavoratori della Fiat Sata di Melfi che si ribella. Una protesta legittima e sacrosanta, giocata sul filo del rasoio. In ballo c?è una migliore condizione di lavoro, ?tornate? meno massacranti, abolizione della doppia settimana di turni di notte, stipendi più alti. Non è roba degli ultimi tempi questa. E? un sentore che già circolava. Ma ora basta. Basta con tutte le forze.

Quello di Melfi è uno stabilimento chiave nella produzione ?torinese?; è il secondo stabilimento in Europa per produttività. Ma i conti non tornano, se non quelli dei ?padroni? che preferiscono retribuire qualche migliaia di dipendenti con salari di gran lunga più bassi rispetto ai colleghi operanti negli altri insediamenti Fiat italiani. Ritmi impressionanti, sei giorni lavorativi su sette, orari assurdi, distanze insormontabili, strade pericolosissime: questo il pesante macigno.

Gli operai hanno sopportato fin troppo il muro insormontabile eretto intorno ai loro sacrifici. L?illusione alimentata da dieci anni a questa parte – di speranze, di lavoro ritrovato, di occupazione garantita, di qualità della vita paradisiaca ? sembra essere arrivata al capolinea. Tradita, seppellita, trasgredita. E? cominciata la lotta, il conflitto interminabile. Sono ricominciate le trattative notturne, i battibecchi tra sindacati. E? stato ritrovato anche il senso intrinseco della Fiom/Cgil che non cede, dialoga, sostiene, opera, rivendica giustamente e senza il senno di poi. L?ennesima rivolta si contrappone fermamente ad uno sfrenato sfruttamento rigido. Mi sa che non siamo più la Lucania di una volta, la preda più docile da ingannare, la moltitudine anonima in cerca di lavoro, anche se sottopagata: almeno non in questo momento. Una nuova coscienza sta venendo fuori.

Troppe distanze si evidenziano tra l?azienda e i lavoratori. Troppe scuse e accuse, troppa insensibilità, troppe logiche di mero profitto, troppe incomprensioni. Bisogna tenere duro di questi tempi, senza mollare, senza cedere al compromesso. E vai con i blocchi autostradali, quelli dei cancelli d?ingresso alle catene di montaggio. ?Non si entra, cazzo!? E così è stato fino a qualche giorno fa; fin quando non si è deciso di sguinzagliare sui manifestanti i poliziotti in divisa antisommossa, come nella migliore tradizione fascista, come a Napoli, come a Genova. Decine di feriti. E tanta, tanta amarezza.

Atto vergognoso e deplorevole. Un solo rumore costante doveva sentirsi nella Piana di Melfi. Non il vociferare della protesta e delle rivendicazioni, ma il tamtam brutale dei manganelli sugli scudi di plastica dura seguiti dai colpi sordi sulle teste dei lavoratori. Insomma, il Governo Berlusconi fa finta di stare fuori dalla questione, ma in silenzio e/o borbottando fa il gioco della Fiat e favorisce, incentiva, legittima la violenza. La strategia della tensione è l?unica arma a disposizione: la più repressiva. ?Le operazioni di recupero delle condizioni di agibilità della via di accesso agli stabilimenti Fiat di Melfi continueranno nelle prossime ore fino al ripristino dello stato di legalità, a garanzia del diritto di riprendere l’attività lavorativa da parte di chi non voglia astenersene?, dicono. ?Ma bravi!?, rispondo.

Tutto è diventato illegale con questa classe politica: gli scioperi, l?idea ?altra?, il dissenso critico, il dialogo. Solo il pensiero unico deve esistere, con il silenzio e il rispetto, l?abnegazione e la sofferenza, l?onore e la fedeltà.

In questo momento mi sento un lavoratore-Fiat, un metalmeccanico d?Italia, un disoccupato lucano, così come ho vestito i panni del ribelle di Scanzano, del ragazzo di Rapolla; così come ho negato ogni dinamica clientelare; così come ho forgiato la mia coscienza ambientalista che dice di no alle perforazioni criminose, agli abusi nella nostra Lucania. E lo sono tuttora: orgoglioso e incazzato. Non risponderemo ai colpi bassi con i colpi bassi, agli inganni con gli inganni, al sangue col sangue. Preferiamo la strada della civiltà.

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