Mauro Masi nasce nel capoluogo potentino il 6 dicembre del 1920. Fin da bambino inizia ad avvicinarsi al mondo della pittura dimostrando enormi capacità. Di preparazione prettamente classica all?età di diciannove anni classici partecipa alla prima mostra collettiva con un gruppo di pastelli. Dopo i tragici anni delle esperienze belliche e le sue ricche esposizioni nel campo di concentramento di Norimberga, inizia ad allestire le prime mostre personali a Bari, Potenza e Matera.

Sono gli anni Cinquanta e nel suo studio di Palazzo dei Mutilati riunisce attorno a sé un nutrito gruppo di intellettuali, di poeti, di giornalisti, di giovani e promettenti pittori. Ma, con la diaspora ognuno di questi prende la sua strada e anche lui è costretto a trasferirsi, rifugiandosi a Rivello (Potenza). Nel 1957 approda a Napoli in una “Mostra dei pittori lucani” con Carlo Levi.
Nell’impatto con la grande città mutano che le tematiche affrontate, specchio sincero delle esperienze vissute. E’ il periodo dei quadri sul lavoro nelle acciaierie, sugli aspetti caotici del traffico cittadino e della vita nella megalopoli. A conclusione del periodo napoletano, espone nella piazza di Rivello una serie di quadri impostati sui temi città-paese.

Agli inizi degli anni Settanta arriva a Roma con le ricerche formali intese a trovare i mezzi pittorici idonei a realizzare i quadri su temi che abbracciano la vita di periferia. E? la dimostrazione che Mauro Masi è fortemente sensibile alle trasformazioni in atto della società. Le mostre con i lavori di questo periodo sono organizzate dalla ?Galleria 70? a Potenza, dalla ?Scaletta? di Matera e dalla Galleria ?Il Traghetto? di Venezia. Nel contempo appaiono recensioni e disegni su parecchie riviste quali “Civiltà delle Macchine” (16 disegni), “Prospettive Meridionali”, “Il gatto selvatico”, tutti gli “Almanacchi repubblicani”, mentre, sempre negli anni Settanta vengono pubblicati disegni su tutti i numeri di “Città e campagna”.

Nel 1980, in occasione di una mostra itinerante a Matera, Potenza e Reggio Calabria esce il volumetto di Giuseppe Appella Acquerelli di Masi, All’Insegna del Pesce d’Oro, Milano. Nel 1983 illustra il volumetto di Giuseppe Appella e Mario Trufelli ?Amore di Lucania?; nel 1984 ?La Lucania? di Rocco Scotellaro con testo di Enzio Cetrangolo; nel 1985 ?Il paese di Marcoffe? di Gianni Raviele, tutti editi dalla Casa Editrice ?Cometa? di Roma. Sempre in questo periodo si distingue per la realizzazione del pannello per il Municipio di Rivello.

Dal 1989 al 2000 espone in Piazza ?Umberto I? a Rivello e nel Palazzo Ducale di Tricarico assieme all?amico e pittore Michele Santangelo, a Reggiano, a Milano, a Bochum ed ancora a Rivello dove gli viene conferita la “cittadinanza onoraria” come ringraziamento splendida per un affetto infinito che lo lega alla comunità rivellese.

Il profilo, le emozioni trasmesse e i bagliori artistici del Maestro Mauro Masi sono finemente tracciati in un articolo di Giovanni Russo:

Mauro Masi, il Pittore della Luce

I pastelli e gli acquarelli di Mauro Masi con i tetti delle case di un rosso squillante nei campi punteggiati da papaveri, i suoi paesaggi ad olio che evocano la solennità di dipinti ottocenteschi alla Massimo D’Azeglio, la bambina di Rivello, simile ad un’anfora, con il braccio piegato dietro il capo, il ragazzo contadino dall’abito sdrucito, abbandonato più che seduto sopra una sedia spagliata, i tralicci ed i muri di cemento armato delle periferie romane, gli alberi dal verde accecante, le schive figure femminili da molti anni mi fanno compagnia.

La Lucania l’ho sentita respirare accanto a me grazie ai dipinti che Masi mi donava ogni volta che ci vedevamo; ho seguito così anche le vicende della sua vita, i trasferimenti a Napoli ed a Roma alla ricerca, come egli dice “di altri moduli che potessero soddisfare l’esigenza di dare una dimensione formale in senso pittorico all’esperienza vissuta”. C’incontravamo per via Pretoria da piazza Sedile a Porta Salsa, a Potenza, dove abbiamo trascorso l’adolescenza e la prima giovinezza e poi a Roma nel suo studio a Torpignattara, zeppo di tele accatastate, di album e taccuini pieni di disegni.

Fin da una delle sue prime mostre nel ’49 a Potenza, una collettiva di pittori lucani, Masi si distingueva dagli altri per la fedeltà alle necessità espressive. La sua biografia è contrassegnata dall’assenza di esibizionismi, dal collocarsi sempre fuori dalle mode, dalla capacità di razionalizzare sia il rapporto affettivo con la Lucania (che egli concepisce come la rappresentazione della Natura senza però ignorare quello che per la Lucania significa la Storia e quindi i suoi mutamenti) sia il rapporto con l’ambiente urbano della città che per lui rappresenta invece la Storia. Masi conferma che non vi può essere un motivo d’Arte senza un legame diretto, personale, con la realtà e che il pittore è sempre legato a un’esperienza esistenziale. Questo legame è un fatto etico, la sua concezione della moralità dell’artista.

Lo si vede in tutti i suoi dipinti, nelle figure umane come negli alberi, nelle maschere di personaggi come “gli indiani metropolitani” della contestazione studentesca a Valle Giulia a Roma, di cui parla in un suo scritto Leonardo Sinisgalli, nei simboli allucinati della vicenda dell’uomo del pannello del Prometeo dipinto nel decennale dell’Università della Basilicata.

Masi mi ha raccontato che quand’era sotto le armi, durante un’esercitazione (era un settembre con l’aria d’autunno sull’altopiano di Asiago), si fermò a disegnare un noce già con tutte le foglie gialle. Un commilitone, quando vide il dipinto si rivolse ai colleghi dicendo: “Guarda, quella pianta come la ride!”.

Ridono i disegni, i pastelli, gli acquarelli di Masi, i suoi alberi fioriti, i suoi prati lucenti. Com’è nel suo carattere schivo, Masi solo nel dipingere osa manifestare i suoi sentimenti, le sue allegrie come le sue angosce.

La sua storia è segnata da una sofferta prigionia, due anni di campi di concentramento tedeschi, durante l’ultima guerra e dall’esigenza di guadagnarsi da vivere senza sacrificare la vocazione d’artista (ha infatti insegnato nelle scuole medie come professore di francese).

Il suo amico forse più caro, anch’egli pittore, che ne ha condiviso le ricerchee le esperienze, Domenico Petrocelli, ha scritto di lui: “Il paesaggio lucano, letterario e reale, quotidiano e antico”, trova nelle sue tele una lirica misura ed insieme sorprendenti modulazioni, felici abbreviazioni, arditi accostamenti cromatici. E Sinisgalli ha scritto che da Masi “non avremo né vedute né cartoline, ne idilli né arcadie, perché la sua pittura ha una dura scorza”, come quei sedici disegni che Sinisgalli gli aveva pubblicato nella sua rivista “Civiltà delle Macchine” per illustrare un lungo racconto del fratello Vincenzo sul loro paese natale Montemurro.

A Rivello, il paese della Lucania dove ha insegnato da giovane e dove ritorna ogni anno nei mesi estivi, la sua “patria pittorica”, Masi ha catturato le luci e i colori dei suoi dipinti. E’ un paese ancora intatto nella sua architettura cinquecentesca (speriamo non sia deturpata dall’insidia della speculazione edilizia) circondato da severe montagne candide di neve d’inverno come si vede nei suoi acquarelli e da una campagna con macchie di lentisco e rosmarino. I motivi di freschezza e di felicità dei suoi dipinti lucani vengono da quel paesaggio, mentre in quelli di argomento contadino c’è un accento drammatico nella rappresentazione di una realtà urbana opposta, contrassegnata dai muri sbrecciati, dai mucchi d’immondizie, dai cumuli di macchine, una testimonianza eloquente del degrado urbano in cui si coglie tuttavia, nell’accendersi di un colore, il ricordo o se vogliamo il rimpianto della felicità perduta.

I periodi della sua pittura sono influenzati, come hanno scritto Vanni Scheiwiller, Alfonso Gatto, Giuseppe Appella, dai suggerimenti dell’astrattismo e del cubismo, con un ritmo, come rileva Carlo Belli, che ricorda le armonie musicali di Debussy.

Le radici antiche della pittura di Masi, il suo nucleo vitale coesistono con tutte le impressioni della pittura moderna; un percorso comune anche ai pittori lucani, suoi amici, Gerardo Corrado e Rocco Falciano. La luce dei quadri di Masi somiglia molto alla luce della Provenza di cui sono inondati la maggior parte degli impressionisti francesi, da Corot a Bonnard a Cezanne. Ma vi sono anche delle tracce del grande insegnamento di Carlo Levi che, in un paese non lontano da Rivello, aveva soggiornato durante il confino dipingendo i calanchi bianchi di Aliano e Grassano.

Il poeta Michele Parrella che gli fece compagnia per un mese a Rivello nella casa della signora Menghina (“una casa che aveva nei muri della cucina dei piccoli buchi nei quali si annidavano le rondini che a volte lei cucinava per i suoi inquilini”) così lo descrive: “Nel suo studio a Rivello Mauro teneva una sedia impagliata che era la copia esatta della famosa sedia di Van Gogh ed è riuscito a dipingere e disegnare in quegli anni per lui difficili avendo negli occhi e dinanzi a sé quel simbolo che era diventato un feticcio”.

Con il suo amico poeta, Masi si arrampicava sulle montagne di Coccovello per prendere gli appunti di pittore nella valle del Noce. Quest’abitudine non lo ha mai abbandonato. Penso a Masi come un pellegrino che fa un lungo cammino portando sempre con sé i pastelli per riempire i suoi taccuini. La sua pittura è, in ultima analisi, il racconto di una Lucania tenera e segreta.

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